Cenni Storici

Albaredo per San Marco è il Comune di quota delle Alpi Orobie, nella Comunità Montana Valtellina di Morbegno con il maggior numero di abitanti.

Albaredo per San Marco è il Comune di quota delle Alpi Orobie, nella Comunità Montana Valtellina di Morbegno con il maggior numero di abitanti. La Valle del Bitto di Albaredo, inserita nel parco Regionale delle Orobie Valtellinesi, si estende su una superficie di circa 25 km nel terziere inferiore della Valtellina, alla sinistra orografica dell’Adda. La Valle del Bitto di Albaredo con la Valgerola costituiscono il comprensorio alpino delle Valli del Bitto nel quale viene prodotto il tipico formaggio grasso d’alpe, il Bitto, a denominazione d’origine protetta. La Valle è solcata dal torrente Bitto, famoso per aver dato il nome al tipico formaggio d’alpe ; è attraversata dalla strada provinciale “Transorobica” che collega la provincia di Sondrio con quella di Bergamo.

La comunità alpina di Albaredo per San Marco è costituita da 435 residenti, altri nuclei dipendenti da Morbegno sono : Arzo – Valle – Campoerbolo. Albaredo è posto a quota 910 m s.l.m. confina con la Valbrembana e si estende su una superficie di 17,93 kmq, l’altitudine varia da un minimo di 573 m s.l.m. ad una punta massima di 2.431 m. s.l.m. La Valle è conosciuta per la presenza dell’antica “Via Priula”, costruita sul finire del 1500 dalla Repubblica Veneziana, per il transito delle merci verso il centro Europa. Il tracciato è ancora ben riconoscibile e frequentato ; lungo il percorso si possono trovare i forni fusori delle miniere di ferro del 1300. Nel Comune di Albaredo vi sono ben cinque alpeggi ancora monticati nel periodo estivo e un numero considerevole di maggenghi e pascoli.

L’attività prevalente è quella agricola con la pratica della pastorizia tra maggio e settembre. Quasi inesistenti sono le seconde case o forme di edilizia residenziale / turistica ; ciò ne fa un pregio assieme all’intatto ambiente naturale. In questo contesto ben si caratterizzano le baite o cascine costruite in sasso, abbarbicate lungo i pendii : è un patrimonio che collegato ai torrenti le abetaie, i laghetti alpini e il tipico formaggio Bitto, ne fanno una risorsa di indubbio interesse che merita una specifica valorizzazione. Bisogna quindi coniugare la conservazione di questo caratteristico ambiente naturale alpino con le condizioni di vita dell’uomo, aspetto primario per preservare e far vivere la montagna. E’ sempre difficile stabilire, sulla base di documenti, l’identità dei popoli che per primi si insediarono nella nostra vallata alpina.

Vari autori sono propensi a indicare come la piú credibile, un’antichissima colonizzazione da parte dei Liguri. D’origine ligure, sono i nomi locali con il prefisso Alba (cosí Albaredo), anche se il nome pare derivi dal latino “Albaretum” (inteso come luogo di alberi) e qualche nome comune : “sberlusc” (lampo) , “matusc” (piccolo cacio magro) . Altri autori accettano l’ipotesi di un insediamento valtellinese degli etruschi che, dopo la caduta dei galli (siamo nel IV secolo A.C.) forse furono numerosi, ma s’appagarono di possedere l’agevole fondo valle e la zona solatia, i Celati superstiti si rifugiarono, inselvatichendo, nelle convalli laterali piú impervie : Valle del Bitto, del Tartano, ecc. Etruschi potrebbero infatti essere certi nomi dall’etimologia misteriosa come “puiàtt” (rogo acceso) e “nabir” (umore viscoso che esce dal naso) . Il nome Bitto invece risalirebbe al celtico “bitu” (perenne) e quindi la discesa dei Celti, appunto in Italia nel IV secolo A.C.

I passi orobici furono interessati, intorno al 16 a.c., dal passaggio di truppe al comando di Publio Silio, incaricato di punire i Vennoneti che, collegati ai Camuni, avevano compiuto incursioni e saccheggi nella Gallia Romana dando non pochi problemi ai dominatori. Evidenti sono le tracce del dominio romano della zona a cominciare dal nome stesso di Albaredo; molte parole dialettali sarebbero inoltre di origine latina : “redà” (durare) , “pecc” (poppa) , “pivel” (giovinetto) , “panétt” (fazzoletto) , “bagiul” (arnese di legno per portare assieme due secchi) , “menuzz” (latte e polenta) , “quacc” (caglio) , “scespeda” (cespo) , e infine “fopa” (avvallamento, località posta sotto il “Dosso Chierico”). Riferimenti latini si trovano in numerosi termini dialettali: di origine romana sarebbe infatti il gioco del cerchio rotolato con le mani, una usanza viva ancora nelle nostre valli ; quella della “sampugnera”, per questo sul finire di febbraio giovani e ragazzi girano per i prati con i campanacci al collo e “chiamano l’erba” , festeggiando cosí la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. Ai Longobardi la tradizione dei “gabinatt”, la richiesta itinerante di doni in quella che oggi è la ricorrenza della Befana. Innumerevoli sarebbero inoltre i termini che possono far risalire a questo popolo, comparso nelle nostre vallate intorno alla metà del 500 d.C. “gudàzz” (padrino) , “sluzz” (bagnato) , “baloss” (furbo) ,”mascherpa” (ricotta) , “gnecch” (di malumore) , “lifroch” (di scarsa volontà) , “buter” (burro) , “loot” (tratto di bosco assegnato per sorteggio) , “scagn” (appoggio per mungere) , “scrana” (panca) , “stachéta” ( chiodo di scarpa) , “scoss” (grembo) , “stracch” (stanco) .

Sempre Longobardo sarebbe il toponimo Curvégia, mentre mancano nelle Valli del Bitto i cognomi con questa origine, frequenti invece in altre zone della Valtellina. Nel quadro complesso delle invasioni barbariche che si riversarono nella piana lombarda prima del mille, transitando per le nostre valli interessante appare l’ipotesi fatta sulla terza calata degli Ungari attraverso lo Spluga, intorno al 920. Essi, discesi fino a Samolaco sarebbero stati…arrestati dalla mancanza di imbarcazioni …e tentarono , ma inutilmente, il guado… Per la Valtellina e la valle di Averara, le orde avrebbero per la Valle del Bitto traversato il passo oggi detto di S. Marco, dirigendosi poi probabilmente per uno dei molti valichi laterali. E’ certo che la Valle di Albaredo intorno al mille, versasse le “decime” alla chiesa di s. Martino in Morbegno, edificata intorno al VIII secolo, ma non è dato documentare con precisione la natura di tale rapporto di dipendenza dal già grosso borgo di fondovalle. Si sa solo che a partire dal 1210 anche Albaredo si strutturò il Comune e che il potere vi fu gestito da un podestà locale. Quando in Valtellina si ripercossero le lotte accese nei grandi centri lombardi tra Guelfi e Ghibellini, il versante orobico parteggiò in genere per la fazione Ghibellina, mentre su quello retico prevalevano i Guelfi. Si tratta però di una distinzione molto sommaria, in quanto indipendentemente alle scelte dei signori locali, nei singoli abitanti si confrontarono spesso le due parti contrapposte e i comuni, che si erano strutturati via via nel corso di tutto il XIII° secolo sui due versanti, ne furono dilaniati.

La repubblica di Venezia, che tanta importanza ebbe per le valli del Bitto, entrò nelle complesse vicende politiche per il controllo delle strade valtellinesi all’inizio del 1400. Le truppe della Serenissima scesero lungo la valle di Albaredo, operarono nel 1432 una vera e propria incursione ai danni del Ducato di Milano e furono duramente sconfitte. Ma il progetto di intervento in Valtellina non fu per questo abbandonato dalla città veneta che continuò le incursioni, sempre attraverso il passo pio detto di S. Marco, finchè la Signoria milanese passò dai Visconti a Francesco Sforza nel 1450. Sotto il dominio sforzesco la presenza veneziana, specie per quanto concerneva lo sviluppo di traffici e il passaggio delle merci, era ormai un fatto acquisito in tutto il terziere inferiore e lo stesso Ducato Milanese pur controllandone l’influsso politico e le tendenze espansive, non ne sottovalutò i vantaggi economici e lo stimolo dello sviluppo dei transiti. Evidente è l\’impulso che ne venne alla Valle del Bitto di Albaredo, che rompeva cosí il proprio parziale isolamento per assumere un nuovo ruolo che si potenziò ulteriormente quando, nel 1512, dopo un lungo periodo di invasioni e di guerre funestato anche da una tremenda epidemia di peste tra il 1478 e il 1480, il potere in Valtellina e Valchiavenna fu conquistato dalle Leghe Grigie. Per due secoli e mezzo circa del loro dominio sulle nostre valli, il Podestà di Bergamo Alvise Priuli, iniziò la costruzione della strada per il valico di S. Marco proprio nel 1592, con il benestare e il favore quindi delle Leghe che in tale periodo avevano consolidato e confermato il proprio possesso della Valtellina.

Il 14 febbraio 1543, il consiglio generale degli uomini di Albaredo, adottò gli “Ordini del comune” che sono uno statuto vero e proprio. La costruzione nel 1592 della cosiddetta “Via Priula” già accennata, cambiò profondamente le condizioni di vita delle popolazioni della Valle del Bitto e ne fanno fede le notizie contenute in un rapporto segreto stilato nel 1604 con riferimento ai traffici tra l’agosto e il maggio di quell’anno. “…dalla valle transitano i ricchi convogli di mercanzie da e per Venezia, 684 colli di merce varia dall’Italia verso l’Europa centro – occidentale e 784 in direzione inversa attraverso il passo di S. Marco …”. E’ del primo seicento un brano anonimo che cosí descrive gli uomini delle Valli del Bitto : ” …E’ bella gente ; ne vanno altri a Bressia, Verona, Vicenza, Padova, Venetia, massima quelli della valle del Bit per andar in bergamasca, cioè Pedesina, Albaredo, Girult : sono uomini grandi, fanno macellari o siano luganegari, bellissimi di statura, diritti e buoni per le armi et ancora huomini reali e da bene ; ne vanno assai ancora a Bologna, Ferrara, Mantova …”. Vi è qui, oltre alla lode convinta, anche una testimonianza di emigrazione che, se conferma una situazione economica difficile delle due vallate, dà nello stesso tempo alle comunità locali una apertura al nuovo, una dimensione di vita e di cultura ben piú ampia di quella comune a molte popolazioni valtellinesi si chiude fisicamente nella cerchia delle montagne e culturalmente in quella del localismo e del costume tradizionale.

Che, finiti i lavori agricoli, con la stagione invernale i nostri Albaredesi mettessero a profitto lontano dalle montagne l’arte di lavorare il porco, è indubbiamente segno di creatività e di capacità di uscire dai limiti del proprio piccolo mondo , spinti anche da necessità di sopravvivenza nate dai ritmi di una economia povera, legata ad una terra ingrata e a una pastorizia non sempre produttiva. Non sappiamo come perché gli abitanti del paese approdarono proprio a Livorno, ma è certo che dal seicento a metà ottocento, essi esercitarono nel porto toscano l’attività di facchini e di scaricatori aderendo alla “Compagnia dei facchini voltolini e bergamaschi”, fondata all’inizio del seicento. Se non bastassero le testimonianze dei Del Nero e dei Mazzoni, ancora diffusi nel Livornese, basta visitare l’altar maggiore della chiesa del paese dedicata a S. rocco : qui una statua lignea della Madonna del Montenero (il luogo è vicino a Livorno e vi è un santuario un tempo frequentatissimo) fu portata a piedi ( ! ! ) dagli emigranti fin dalle rive del tirreno nel 1752. Ed è sempre ai “livornesi” che si devono nella stessa chiesa gli altari laterali, la balaustra, la cantoria dell’organo. Non si hanno altri documenti sull’emigrazione da Albaredo alla Toscana in periodo di dominio retico, ma certamente essa deve aver avuto luogo con continuità fino al dominio napoleonico se da una tabella compilata da Melchiorre Gioia sulla situazione del Dipartimento dell’Adda si enuclea questo brano:

” …Per antico privilegio la terra di Albaredo ha 12 posti nell’imperiale dogana di Livorno e perciò 12 individui di Albaredo ci restano costantemente a fare i facchini, scambiandosi ogni due o tre anni …” confermata da un manoscritto dell’epoca. Il 10 ottobre 1797, in seguito a reiterate richieste dei Delegati di Valle a Napoleone, il territorio dell’Adda e del Mera, entrò a far parte della Repubblica Cisalpina. Le guerre napoleoniche furono pagate con inaudite pressioni fiscali che dissanguarono i bilanci dei Comuni e della provincia. Basti, per la Valle del Bitto, un dato significativo : mentre sotto il dominio Sforzesco si puniva con il taglio della mano chi fosse sorpreso a danneggiare i boschi, pena che fu mantenuta in auge sotto il governo retico, un decreto del 1801 dei Francesi generalizzò il disboscamento selvaggio, delle vallate, con l’inevitabile conseguenza, su un territorio come il nostro, di un susseguirsi di frane e di slavine. Gerola ne fu per tre quarti distrutta e dovettero piangere ben 75 morti. Quando il Congresso di Vienna assegnò, il 22 aprile 1815, il nostro territorio al Lombardo – Veneto, i Grigioni protestarono ma invano, sostenuti soltanto dalla contea di Bormio. Gli Austriaci, questo va detto, fecero il possibile per recuperare la situazione economica disastrosa in cui versavano i Comuni locali e, pur nell’ambito di una serie di provvedimenti illuminati che la storia ha rivalutato, emanarono tuttavia una legge con conseguenze disastrose : quella che ingiungeva ai Comuni di mettere in vendita, per risanare i bilanci, i propri beni che furono alienati, benché per secoli fossero stati mantenuti intatti da uno statuto di Como nel 1335 che ne proibiva la vendita, e comunque l’alienazione.

Albaredo agí con grande saggezza : invece di vendere ai singoli, cosa questa che avrebbe provocato un frazionamento ingestibile e dannosissimo del patrimonio comunale, costituí un consorzio tra tutti i capi famiglia locali con la finalità di acquisire una parte consistente dei terreni messi all’asta mantenendoli indivisi e soprattutto produttivi e in qualche modo amministrabile. La cosa, che può a prima vista apparire di non grande importanza, è invece assai significativa perché testimonia la profonda coesione interna di una struttura sociale in cui l’interesse collettivo assumeva un valore primario o la comunità era veramente in grado di autogestirsi. La preoccupazione di evitare che il patrimonio comunale andasse in mano a estranei al paese o che estranei potessero in qualche modo entrare a far parte del consorzio era tale, che lo Statuto si premurò di sancire l’obbligo che il socio o suo famigliare avessero residenza nel Comune, pena la perdita del diritto di appartenenza alla società stessa. Il consorzio ha ora piú di 190 soci e funziona con le modalità e i criteri fissati democraticamente dallo statuto del 1850. All’avvento del Regno d’Italia , nel 1861, si potevano censire ad Albaredo 358 abitanti, mentre il paese contava circa 70 case. La povertà dell’economia di montagna e il richiamo alle attività lavorative del fondovalle aveva già provocato nel secolo precedente la discesa al piano di alcuni gruppi familiari e, non va dimenticato, il dissanguamento continuo nato dalla necessità della emigrazione. In questo periodo la metà della grande maggioranza degli emigranti locali era l’America, in particolare in California, anche se si registra qualche scelta per la lontanissima e ancora piú sconosciuta terra d’Australia.

Difficile è descrivere, forse piú facile intuire, il dramma di questa gente profondamente legata alla sua terra e alle sue cose e tuttavia costretta ad affrontare per la sopravvivenza delle famiglie, una vita e un ambiente tanto diversi dal proprio, incomprensibili. Il 28 giugno 1863, Vittorio Emanuele II autorizza il comune di Albaredo ad assumere la denominazione di Albaredo per San Marco, giusta la delibera di quel Consiglio comunale in data 26 dicembre 1862. E’ certo qualcosa, forse le rimesse di emigranti, forse per una parziale rinascita dell’economia locale, cambia in meglio se in paese nel 1881 si registrano ben 468 persone che arriveranno al massimo a 640 nel 1966 per regredire alla cifra di 435 di oggi. Il 1882 resta nelle cronache delle valli del Bitto come particolare rovinoso ; in seguito a eventi atmosferici eccezionali. Senza grandi avvenimenti, se non sono quelli legati a un degrado idrogeologico ormai endemico per tutta la provincia, la Valle del Bitto di Albaredo entra nel XX secolo, però con un progetto nuovo : si parla infatti già all’inizio del 1900 di una nuova e piú comoda strada che sostituisca la storica “Priula” ormai superata. Si chiamerà “Transorobica” la nuova e comoda strada provinciale che collega la Valtellina con la provincia di Bergamo, attraverso il passo di San Marco.

Con lo Statuto il Comune di Albaredo per San Marco ha posto le basi di un impegno concreto, civile e democratico per le prospettive della Valle del Bitto e il progresso economico, sociale e culturale della sua gente. Impegno primario degli Amministratori locali sono dunque le finalità indicate dallo Statuto Comunale nel costruire con il presente il miglior futuro per la comunità alpina di Albaredo.

   

Pagina aggiornata il 06/10/2023