L’alpe Piazza è uno dei più pregiati e suggestivi alpeggi nei quali si produce, in Valle di Albaredo, il famoso formaggio Bitto, cui è legata buona parte della fama della valle. Si tratta di un’ampia distesa di prati, a settentrione del monte Lago, collocata ad una quota compresa fra i 1850 ed i 2000 metri circa. Una visita a questi luoghi, aperti e solari, non farebbe sospettare che proprio qui il mistero dell’intreccio fra presente e passato mostra uno dei suoi aspetti più inquietanti, il ritorno periodico, dal mondo delle ombre, di realtà consegnate ad un passato antichissimo. Queste zone, infatti, hanno conosciuto insediamenti umani che risalgono ad epoche preistoriche, com’è testimoniato dal ritrovamento, proprio nel cuore dell’alpe, nell’ampia piana solcata da diversi torrentelli, poco sopra il rifugio Alpe Piazza, di massi che mostrano incisioni preistoriche, le caratteristiche coppelle. Sulla funzione di queste cavità, diverse sono le ipotesi. La più accreditata le collega ai riti delle comunità preistoriche di cacciatori: probabilmente esse raccoglievano acqua, oppure sangue di animali sacrificati, o, ancora, il loro grasso, che, bruciando, illuminava i luoghi del sacrificio rituale. Tutto ciò appartiene al passato, ma qualche volta il passato sembra intersecarsi con il presente, per un arcano mistero consegnato all’enigma del tempo.
Una leggenda sembra attestare tutto ciò. Si racconta che ogni venti anni una notte di plenilunio nel cuore d’agosto diventi teatro del ritorno di antichissimi riti e cacce. Un pastore, per primo, narrò il misterioso evento, di cui fu testimone quando, giunto il suo turno, dovette vegliare, per un’intera notte, la mandria. Nulla di strano, fin qui: a turno tutti i pastori dovevano trascorrere la nottata accanto ai capi di bestiame. Ma quella notte, illuminata dalla luna piena, fu diversa da tutte le altre. Proprio mentre stava cercando di dare una direzione ai propri pensieri, per evitare che il sonno avesse il sopravvento, egli udì, dapprima, rumori inconsueti, vide, poi, qualcosa che non seppe ben distinguere: venivano, nella sua direzione, delle fiammelle, di cui non riusciva a riconoscere la natura. Tese le orecchie, sgranò gli occhi: non stava sognando, le fiammelle si avvicinavano, il rumore si faceva più forte, un rumore di zoccoli che battevano il suolo dell’alpe. Intravide, poi, nella luce incerta della luna, camosci che correvano in direzione della mandria, e, dietro di loro, le fiammelle, che parevano inseguirli. Non stava vaneggiando: anche le mucche si erano accorte di quanto accadeva, avevano cominciato a muggire, inquiete, e, al sopraggiungere dei camosci, si erano disperse in tutte le direzioni, fuggendo impaurite. I camosci attraversarono la piana e si persero oltre, confondendosi con il fianco del versante montuoso.
Il pastore non ebbe modo di scorgere qualcosa di più preciso, perché il cielo, con rapidità che non aveva nulla di naturale, si rabbuiò, densi nuvolosi oscurarono la luna, lampi minacciosi cominciarono a solcare il cielo e fragorosi tuoni sembrarono squassare l’alpe ed i monti circostanti. Egli corse, allora, in direzione del bait che ospitava i suoi compagni, dormienti: era terrorizzato e raccontò, come gli riusciva, nella concitazione di quel frangente, quanto era accaduto. Incalzato dalle domande, non seppe però dire cosa fossero quelle fiammelle. Possiamo immaginare che si trattasse dei fuochi che illuminavano la caccia delle ombre emerse dal più antico passato. Forse. L’unica cosa certa è che il pastore, da allora, non volle più vegliare di notte. Questo è quanto raccontano, e riporta Patrizio Del Nero nel suo bel libro “Albaredo e la Via di San Marco – Storia una comunità alpina”, edito, nel 2001, da Editour – Consorzio Turistico Valli Orobiche. Ben difficilmente avremo la possibilità di assistere in prima persona al rinnovarsi dell’antichissima caccia, ma ciò non toglie che una visita all’alpe rappresenta un’eccellente opportunità per effettuare una bella passeggiata, che può diventare anche escursione o salita con la mountain–bike.
Partendo dalla piazza S. Antonio di Morbegno, imbocchiamo la strada provinciale per Albaredo e San Marco (molto frequentata anche dagli amanti del ciclismo, perché consente di raggiungere il passo con una salita classica e di grande fascino), che ci porta, dopo 11 km, ad Albaredo (m. 910), che porta ancora i segni degli smottamenti alluvionali del novembre 2002, anche se i lavori di canalizzazione delle rogge sui ripidi prati che sovrastano il paese garantiscono una maggiore sicurezza al tracciato stradale ed all’abitato. Una breve visita al paese consente di coglierne l’importanza storica ed i legami con la Repubblica di Venezia. Questa entra in scena nella prima metà del 1400, dopo che da diversi decenni (e precisamente dal 1338) della Valtellina si erano impossessati i Visconti di Milano. Il tentativo di conquista, operato dalla Serenissima, fu sventato dai Visconti nel 1432, con la battaglia di Delebio, ma ciò non impedì che la Repubblica assumesse, nei decenni successivi, un’influenza commerciale sempre crescente, dal momento che i suoi possessi comprendevano Bergamo ed il versante orobico bergamasco. Quando, nel 1512, ai duchi di Milano, gli Sforza, subentrarono nel dominio della Valtellina i Grigioni, questi scelsero una politica di intesa con Venezia, in nome di comuni interessi commerciali. Ciò indusse il podestà di Bergamo, Alvise Priuli, a promuovere, nel 1592, la costruzione della celebre strada che, da lui, prese il nome di via Priula, e che, valicando il passo di San Marco, scende fino a Morbegno, congiungendo la Val Brembana alla Valtellina sull’asse commerciale Pianura Padana – mondo germanico. Queste brevi note storiche permettono di comprendere i numerosi riferimenti alla Repubblica di San Marco che troviamo non solo nella toponomastica di Albaredo, ma anche nei murales su alcune case del paese. Dopo questa immersione nel glorioso passato del paese, proseguiamo sulla strada per San Marco. Troveremo una prima deviazione a destra, che conduce alla chiesetta della madonna delle Grazie, al sentiero dei Misteri, al dosso Chierico ed alla via Priula. Ignoriamola e proseguiamo fino ad una seconda deviazione, a sinistra, in corrispondenza di un cartello che annuncia che mancano ancora 3 km al rifugio Alpe Lago. Qui di cartelli, per la verità, ce ne sono diversi, e ci segnalano che la stradina asfaltata ci porta verso il rifugio Alpe Piazza, il bivacco Legüi, la quota 2000 ed il monte Lago. La stradina diventa poi pista in terra battuta, e termina alle soglie dell’alpe Baitridana, al di sopra dei 1700, non lontano dal rifugio.
Chi ama camminare può sfruttare, però, la bella mulattiera che, a 1380 metri circa, si stacca, sulla destra, dalla stradina e sale alle baite di Scöccia e della Corte Grassa (m. 1614). Si tratta di radure estremamente panoramiche, per cui non potremo resistere alla tentazione di gettare un ampio sguardo sul versante occidentale della Val Gerola, sulla costiera dei Cech, sulla bassa Valtellina e sulla piana di Novate Mezzola. Ci attende ora una breve salita ed un tratto quasi pianeggiante verso destra, prima di uscire di nuovo, alla sommità dei bei prati di Cornelli, o Baitridana (m. 1739). Ignorate le deviazioni, sulla sinistra, per Egolo e Pozza Rossa, proseguiamo fino ad un ultimo boschetto, dal quale usciamo proprio nei pressi del rifugio Alpe Piazza (m. 1835), aperto anche d’inverno. Seguiamo, ora, il sentiero che, attraversato un torrentello, ci porta alla grande baita Tachér, a quota 1923, affiancata dal piccolo bivacco Legüi. Il sentiero lascia a sinistra il pianoro dell’alpe, teatro delle misteriose apparizioni notturne che si ripetono a candela ventennale. Il bivacco può essere la meta conclusiva dell’escursione, che, tuttavia, può proseguire alla volta della facile cima del monte Lago. Proseguiamo, allora, verso sud–ovest, intercettando una traccia di sentiero che proviene dalla baita dell’alpe, risalendo un facile dosso e raggiungendo una caratteristica conca, adagiata sotto il fianco settentrionale del monte Lago. Già, il monte Lago: ma come lo si riconosce? Non c’è problema: la sua piramide arrotondata ed armoniosa si impone allo sguardo, verso sud–est, fin da quando raggiungiamo la Corte Grassa, e rimane lì, davanti a noi, per nulla minaccioso, ma quasi invitante, con il suo crinale occidentale che solo nell’ultimissimo tratto si fa un tantino più ripido. Un sentierino, con traccia sempre abbastanza visibile, lo percorre fino alla cima, sormontata dalla visibile croce (m. 2353), dalla quale il panorama, da ampio che era nell’alpe sottostante, si fa grandioso. Il monte, infatti, pur non essendo molto alto, è uno dei più panoramici delle Orobie occidentali, non avendo vicino a sé altre o costiere che sbarrino lo sguardo. Potremo così godere di un ottimo colpo d’occhio sulla catena orobica, sul gruppo del Masino–Bregaglia, sul monte Disgrazia e sul versante orientale delle Alpi Lepontine. La discesa avviene per la medesima via di salita.
Un itinerario da consigliare, dunque, a chi desidera un incontro ravvicinato con le bellezze della montagna senza assumersi inutili rischi. Non si tratta di un itinerario eccessivamente faticoso: la salita comporta 970 metri circa di dislivello, superabili in circa due ore e mezza a piedi. La presenza del rifugio Alpe Piazza, posto, più o meno, a metà strada, permette, inoltre, di spezzare in due lo sforzo. Il rifugio può essere, però, anche punto di partenza di una più facile camminata, che ha come meta la pozza Rossa, un piccolo specchio d’acqua collocato in un’amena radura sul crinale che separa la valle dalla bassa Valtellina, e precisamente dal versante montuoso sopra Talamona. Per salire alla pozza basta tornare indietro, verso Baitrida, fino al bivio segnalato, imboccando, quindi, il sentierino che si stacca sulla destra da quello principale. All’inizio la traccia è incerta, e bisogna stare attenti, ad una specie di bivio, a prendere a sinistra. Poi si trova una traccia più marcata, che conduce al crinale ed alla radura, che ospita anche un’area di sosta attrezzata. Nei pressi della pozza c’è anche la poco pronunciata cima del monte Baitridana (m. 1881), nel cuore di una bellissima pineta. L’incantevole bellezza dei luoghi ne fa un punto di sosta ideale per chi ama atmosfere tranquille e riposanti.
Testo e fotografie a cura di Massimo Dei Cas
Pagina aggiornata il 06/07/2023