La via Priula è un elemento essenziale per comprendere la particolarissima storia della comunità di Albaredo, e soprattutto i forti legami che l’hanno rinsaldata, nei secoli scorsi, con Venezia. Tutto comincia nell’ultimo decennio del Cinquecento, quando i Veneziani, interessati ad una via commerciale che congiungesse i loro domini (che da Venezia si estendevano ininterrottamente fino al crinale orobico, quindi al passo di S. Marco) al nord Europa, passando per la Valtellina (per aggirare il milanese, sotto la dominazione spagnola, loro ostile, che aveva intensificato la navigazione dell’Adda ed il controllo del Lario), decisero, anche alla luce dei rapporti politici non cattivi con le Tre Leghe, di promuovere la costruzione di un nuovo tracciato che passasse proprio per il passo di S. Marco e la Valle di Albaredo. Fu il podestà veneto di Bergamo Alvise Priuli a caldeggiare questa nuova via ed a curarne, previo accordo con il governo delle Tre Leghe, la costruzione, nell’arco di un biennio circa (1590-92): in suo onore essa venne, dunque, battezzata “via Prìula”.
L’antica Via Priula La strada, aperta nel 1592 dal capitano Zuane Quirini, fu percorsa da intensi traffici, soprattutto dopo che Venezia ebbe stretto, nel 1603, il trattato di alleanza con le Tre Leghe del settembre 1603. Sulla base di tale trattato la Serenissima concedeva, infatti, l’esenzione dai dazi sia alle merci prodotte in Italia ed esportate attraverso il passo di San Marco, sia a quelle valtellinesi e grigionesi esportate a Venezia. La strada, uscendo da Bergamo, passava per Zogno, Piazza e la Val Brembana, saliva al passo di san Marco per poi scendere a Morbegno, il che rendeva assai vantaggiosa l’utilizzazione di tale via. La strada, larga tre metri, era percorribile fino a Mezzoldo ed oltre Albaredo da “birozzi” (birocci), ovvero carri a due ruote; nel tratto intermedio, che scavalcava il valido di S. Marco, con animali da soma a pieno carico.
Si trattava di un manufatto ben costruito e tenuto, grazie ai numerosi muri di sostegno, canali di scolo, parapetti, piazzole di sosta, fontane e siti di sosta per il riposo.
Morbegno. Foto di M. Dei Cas
Non costituiva per Venezia un’insidia, in quanto dal punto di vista militare era facile da presidiare: bastavano un centinaio di soldati disposti nei punti strategici per bloccare eventuali invasioni di eserciti nemici e proteggere i mercanti; gli otto ponti sul torrente Bitto, costruiti per servirla, inoltre, in caso di necessità potevano essere distrutti, bloccando l’avanzata dei nemici. A Mezzoldo e ad Albaredo furono edificate una dogana e una stazione di posta. Appena sotto il passo di san Marco (che proprio da allora venne dedicato al santo protettore di Venezia e che era uno dei più bassi ed agevoli sull’intero arco orobico), sul versante della bergamasca, fu eretto un rifugio a due piani, con stalle e locali di ristoro, il cui edificio è ancora oggi conservato ed adattato a rifugio (Rifugio Ca’ San Marco); ai gestori del rifugio toccava, oltre al compito di ospitare mercanti e soldati, anche quello di tenere aperta e pulita la strada durante l’inverno.
Morbegno, vista dalla strada per il passo di San Marco. Foto M.Dei Cas Dobbiamo tener presente che in quel periodo la pulizia invernale era più agevole di quanto non lo sia ora: le condizioni climatiche, sul finire del Cinquecento, risentivano, infatti, di un innalzamento medio sensibile delle temperature che si estese dal Medio-Evo ad almeno tutto il Seicento e che permetteva, per esempio, di coltivare le patate, in val d’Orta, nella Valle di Albaredo, a 1700 metri di quota.
La via S. Marco a Morbegno. Foto di M. Dei Cas Questo dato di storia del clima aiuta a comprendere la vitalità di una via commerciale così alta e, nel contempo, la sua successiva decadenza, quando, fra i secoli XVIII e XIX, le condizioni climatiche mutano decisamente e si va incontro ad una sorta di piccola glaciazione. I resoconti del volume di traffici che sfruttavano la via Priula testimonia questa vitalità: “…dalla valle transitano i ricchi convogli di mercanzie da e per Venezia, 684 colli di merce varia dall’Italia verso l’Europa centro-occidentale e 784 in direzione inversa… (da un rapporto segreto citato nell’opera di Patrizio Del Nero “Albaredo e la Via di San Marco”, Editour, 2001). Ecco qual è l’origine di quei rapporti saldissimi fra Albaredo e Venezia, i cui segni colpiscono ancora chi si trovasse a visitare il paese orobico e sostasse nella sua centrale piazza S. Marco, dove la statua del leone, simbolo dell’Evangelista, è posta quasi a guardia della chiesa e dove un dipinto collega idealmente questa piccola piazza orobica alla più illustre ed universalmente nota piazza di Venezia.
Morbegno, vista dalla strada per il passo di San Marco. Foto di M. Dei Cas I segni di questa gloriosa via non sono interamente cancellati; anzi, possiamo ripercorrerne ampi tratti, dedicando due giornate nella salita da Morbegno al passo di San Marco. Percorrerla significa immergersi in una storia non lontana, che mostra ancora segni profondi nei luoghi che attraversiamo, ma anche porsi nella condizione di scoprire molte delle bellezze della valle del Bitto di Albaredo, che offre una varietà di possibilità escursionistiche molto più ampia di quanto si sospetterebbe. L’intero percorso potrebbe anche essere coperto in una sola giornata, ma questo comporterebbe uno sforzo fisico notevolissimo e, soprattutto, l’impossibilità di fermarsi a gustare tutti gli aspetti di interesse storico e naturalistico offerti dall’itinerario. In due giorni, invece, si può vivere un’esperienza ricca ed intensa, che, oltretutto, può anche essere scaglionata in tempi diversi: nulla vieta, infatti, che si scelga di effettuare solo la prima o la seconda tappa, riservandosi di completare il percorso in futuro.
Il primo tratto della via Priula. Foto M.Dei Cas Raggiunta Morbegno, lasciamo l’automobile al parcheggio di piazza S. Antonio (a quota 250 metri) e portiamoci al lato nord della piazza, proseguendo in direzione dell’inizio della strada provinciale n. 8 per Albaredo ed il passo di San Marco. Raggiunto il punto di partenza della provinciale, prendiamo a destra, lasciandola alla nostra sinistra, e percorriamo la strada San Marco, fino al punto in cui intercetta la viuzza che sale, da destra, da Via S. Marco e palazzo Malacrida. Qui prendiamo a sinistra (sud-est), seguendo l’indicazione del cartello della Via Priula (chiamata, a Morbegno, “strada de la cà”, con riferimento alla Ca’ San Marco), e cominciamo a salire sulla ripida viuzza con fondo in sassi arrotondati (grisc), circondati su entrambi i lati da alti muraglioni.
Dipinto del Gésöö de Mezzavia. Foto di M. Dei Cas La stradina piega quindi a destra e sale ad intercettare la strada provinciale per Albaredo-S. Marco in prossimità del dosso della Lümàga, dove è posto il “Témpièt”, cioè il Tempietto votivo degli Alpini edificato nel 1962, su disegno dell’architetto Caccia Dominioni, dagli Alpini di Morbegno reduci dalla campagna di Russia nella seconda guerra mondiale, per onorare tutti i caduti di questo conflitto. Gli Alpini di Morbegno salgono qui tutti gli anni per celebrare il ricordo della battaglia di Warwarowka. Fin qui potremmo portarci anche con l’automobile, partendo da una quota leggermente più elevata (360 metri) e guadagnando quindi una ventina di minuti di cammino.
La chiesa di S. Matteo a Valle. Foto di M. Dei Cas In corrispondenza del parcheggio del Tempietto, sulla strada per S. Marco, la Via Priula riprende, in direzione sud-sud-ovest, intercettando ancora la strada provinciale presso lo svincolo della strada per Bema, in località Cumèl. Poco oltre, se ne stacca di nuovo, sempre sulla destra, proseguendo verso sud. Troviamo, salendo, i segnavia bianco-gialli del trofeo Vanoni, di corsa in montagna, ma dobbiamo prestare un po’ di attenzione, perché poco sopra la strada provinciale, ad un primo bivio, i segnavia indicano il tratturo di sinistra, che sale alla località Belìn, mentre noi dobbiamo rimanere sulla via Pirula che prosegue a destra, senza, però, segnalazioni. Il fondo della via Priula è, in questo tratto, ancora assai bello e lastricato di pietre lisce. Proseguiamo conservando la direzione sud ed incontrando solo una doppia coppia di tornanti sinistrorso-destrorso che interrompono l’andamento rettilineo.
Dopo i tornanti, ignoriamo una deviazione sulla destra ed una mulattiera che ci raggiunge scendendo dal lato di sinistra, prima di arrivare al Dos del Barnabà, fascia di prati con alcune baite. Oltrepassato il maggengo, ci portiamo alle baite ed ai prati del Campiàa (Campiano, m. 572), che si trova proprio a monte della confluenza dei due rami del Bitto, di Albaredo e di Gerola (ma dalla Via Priula non si vede). La strada piega qui leggermente a sinistra (sud-sud-est) e raggiunge, ad un tornante sinistrorso, la cappelletta chiamata “Gésöö de Mezzavia”, con evidente riferimento alla sua collocazione, più o meno a metà strada fra Morbegno e Valle. Al suo interno troviamo raffigurata una Pietà.
La chiesa di Valle. Foto M.Dei Cas Proseguendo nella salita, incontriamo un tornante destrorso e, poco oltre, uno sinistrorso, al quale si stacca una mulattiera che sale in direzione sud-est, con traccia un po’ sporca: si tratta della “strada di balabén”, che ci intercetterà anche più in alto. Noi saliamo, invece, verso nord-nord-ovest, fino a trovare, sulla destra, la pista che volge di nuovo in direzione dell’interno della Valle di Albaredo, cioè verso sud-est. Lasciamo, quindi, la strada che continua a salire fino ad Arzo (“Aars”, m. 721) e prendiamo a destra, salendo gradualmente fino ad avvicinarci al muraglione che sostiene la strada provinciale per Albaredo-S. Marco, poco prima che questa raggiunge Valle.
Ci intercetta, salendo da destra, la “strada di balabén” e, poco dopo, ci ritroviamo sulla strada provinciale, poco prima della chiesa di Valle (“Val”, m. 840): prima che, fra il 1880 ed il 1885, venisse tracciata la nuova strada Morbegno-Albaredo (quella che ora è la provinciale asfaltata), questa frazione di Morbegno, che nel Medio Evo era chiamata anche “Albaredo di fuori” (“Albaredo de foris”), era collegata con il fondovalle proprio dalla Via Pirula. Raggiungiamo, così, i poderosi muraglioni della chiesa di S. Matteo, che fu consacrata nel 1437 ed eretta a parrocchia nel 1480; nel secolo successivo, e precisamente nel 1563, da essa, a sua volta, si staccò la parrocchia di S. Rocco di Albaredo.
Dipinto della cappelletta della Madonna del Rosario. Foto di M. Dei Cas Dobbiamo rimanere ancora per un tratto sulla provinciale, superando il solco della Val Biörga ed il cartello che indica Campoerbolo (“Campèrbul” o “Candèrbul”, m. 840), anch’esso frazione di Morbegno. Dobbiamo superare anche le case di Campoerbolo (centro che ebbe in passato un’importanza assai maggiore: basti pensare che nel 1589 il vescovo di Como Feliciano Ninguarda vi trovò 30 famiglia, per un totale di almeno 150 persone), una delle quali, con un bel dipinto sulla facciata, ci colpisce particolarmente; colpisce anche il grande agrifoglio, annoverato fra gli alberi monumentali della provincia di Sondrio (per la sua rarità botanica ed il suo valore storico e monumentale), che copre quasi interamente la facciata di un’altra casa, sempre sulla nostra sinistra: è alto 14 metri ed ha una circonferenza di 2,57 metri, ma spicca soprattutto per l’ampiezza della sua chioma.
Oltrepassato un lavatoio, ci stacchiamo dalla provinciale imboccando una pista che scende verso destra e supera, con un ponticello, la Val Canalèt, raggiungendo un gruppo di baite a valle della provinciale, con una graziosa cappelletta, dedicata alla madonna del Rosario ed edificata nel 1886: oltre alla Madonna, vi sono raffigurato san Francesco Saverio e sant’Antonio da Padova. Superiamo, quindi, in rapida successione, altre due vallecole, la Val Isela e la Val Panizza: fra le due corre il confine fra i comuni di Morbegno ed Albaredo.
Manca ormai poco ad Albaredo: dopo aver superato una baita sulla nostra destra ed un’ultima vallecola, saliamo ad intercettare la stradina asfaltata che scende al campetto di calcio di Albaredo, presso un’altra cappelletta: una breve salita verso sinistra ci porta alla strada provinciale.
In quest’ultimo tratto la via Priula ci permette di dominare con lo sguardo tutta la media ed alta valle di Albaredo, dove si distingue chiaramente, anche per la sequenza di tralicci che vi si avvicinano e lo valicano, l’ampia sella del passo di San Marco, meta conclusiva della seconda giornata.
Avvicinandoci ad Albaredo, osserviamo la media ed alta valle del Bitto. Foto M.Dei Cas Raggiungiamo, dunque, la piazza San Marco, cuore del paese (m. 910) dopo circa due ore di cammino e 500 metri di dislivello superati in salita. Qui sono due le cose che ci sorprendono: da una parte l’arroccarsi delle case su un declivio piuttosto ripido, dall’altra i molteplici segni dei legami storici fra questo centro, in cui la memoria del passato è conservata con particolare gelosia, e Venezia.
Nella piazza fa infatti bella mostra di sè un dipinto che rappresenta la piazza stessa idealmente affacciata sulla laguna di Venezia e sulla più famosa piazza san Marco. Una piccola statua del Leone di san Marco che tiene il mondo sotto la sua zampa, poi, sembra guardare fiera la bella chiesa parrocchiale, che testimonia, nella sua eleganza, la ricchezza di questa valle, legata ai transiti commerciali ed alle fiorenti attività connesse con l’allevamento. Non dimentichiamo che questa valle è la patria del più conosciuto fra i formaggi valtellinesi, il Bitto, appunto.
Il leone di san Marco e la chiesa parrocchiale nel centro di Albaredo. Foto M.Dei Cas Abbiamo tutto il tempo per visitare Albaredo, paese che merita di essere conosciuto in tutti i suoi angoli. Risalendone la via principale, per esempio, scopriremo su un muro un interessante dipinto che rappresenta due mercanti veneziani che percorrono a cavallo la via Priula, passando accanto ai contadini intenti al lavoro nei campi. Su un altro muro scopriremo una curiosa clessidra. Se poi abbiamo voglia di camminare un altro po’, possiamo risalire, per qualche tratto, il bel sentiero che conduce ai maggenghi collocati proprio sopra Albaredo.
Potremo infine fermarci qui a pernottare, presso la Cooperativa Alboran Ca’ Priula, in via Brasa 14 (tel.: 0342 616443), per ripartire il giorno dopo, con la seconda giornata.
Testo e fotografie a cura di Massimo Dei Cas
Pagina aggiornata il 03/07/2023