Il Monte Lago

Una delle più ricche di opportunità escursionistiche

Clicca qui per aprire una panoramica dalla cima del monte Lago La valle del Bitto di Albaredo è una delle più ricche di opportunità escursionistiche, ma anche, insieme alla Val Gerola ed alla Val di Tàrtano, sci–alpinistiche. La facile salita alla cima del monte Lago (m. 2353), è, insieme, un’ottima escursione per il periodo estivo–autunnale ed una classica fra le uscite di sci–alpinismo nelle Orobie Valtellinesi. Tenendo presente che si può giungere in mountain–bike fino ai Cornelli (m. 1739), si può parlare, infine, anche di un buon percorso misto per i bikers che amano alternare i passi alle pedalate. Il monte Lago è, per altezza, la terza cima della Valle del Bitto di Albaredo, dopo il monte Azzarini ed il monte Pedena; tutte e tre le cime sono poste sulla costiera che separa questa valle dalla Val Budria (laterale occidentale dell’alta Val Corta). Appena a nord della cima del monte Lago si incontrano i confini di tre comuni, quello di Tartano, ad est, quello di Talamona, a nord, e quello di Albaredo, ad ovest. Il suo nome deriva dal fatto che in entrambi gli alpeggi che si stendono a valle dei suoi versanti, l’alpe Piazza e l’alpe Lago, esistevano laghetti (quello dell’alpe Piazza è interamente interrato, mentre quello dlel’alpe Lago si vede ancora, nei periodi di abbondanti precipitazioni).

Raggiungiamo dunque la piazza S. Antonio di Morbegno, attraversiamola verso sud ed imbocchiamo la strada per Albaredo–Passo di San Marco. Superate Arzo, Valle e Campo Erbolo, frazioni di Morbegno, raggiungiamo Albaredo (m. 910). Proseguiamo sulla strada per san Marco. Dopo un tornante sinistrorso, troveremo una prima deviazione a destra, che conduce alla chiesetta della Madonna delle Grazie, al sentiero dei Misteri, al dosso Chierico ed alla via Priula. La ignoriamo e proseguiamo, affrontando un tornante destrorso, uno sinistrorso ed un nuovo tornante destrorso. Quanto incontriamo il cartello che segnala il km 15 sulla strada provinciale 8 per S. Marco, prestiamo attenzione, sulla nostra sinistra, alla deviazione per Baitridana, l’alpe Piazza ed il rifugio Alpe Piazza, segnalata da una serie di cartelli, che annunciano che mancano ancora 3 km al rifugio Alpe Lago. Qui di cartelli, per la verità, ce ne sono diversi, e ci segnalano che la stradina asfaltata che sale ci porta verso il rifugio Alpe Piazza, il bivacco Legüi, la quota 2000 ed il monte Lago. Il cartello relativo al sentiero 132 dà la Corte Grande a 40 minuti, i Cornelli ad un’ora e 10 minuti ed il rifugio Alpe Piazza ad un’ora e 20 minuti. Un cartello della Comunità Montana di Morbegno, infine, dà il monte Lago a 2 ore e 30 minuti.

Chi volesse effettuare una bella salita in mountain–bike, può sfruttare questa pista, che, dopo un tornante destrorso ed uno sinistrorso, conduce ad un parcheggio, oltre il quale il transito dei veicoli non autorizzati è vietato (ma si può acquistare il permesso). Proseguendo, si effettua, su fondo sterrato, un lungo traverso in direzione nord, attraversando il solco della val Fregera e raggiungendo il limite orientale dei maggenghi di Egolo. Poi si incontra un tornante destrorso, uno sinistrorso ed un ultimo destrorso, prima dell’ultimo traverso in direzione sud–est e sud, che ci porta al termine della pista, in località Cornelli (m. 1739). La località è molto panoramica: lo sguardo raggiunge l’alto Lario. Se invece saliamo a piedi, lasciamo l’automobile su uno slargo del ciglio della strada per san Marco, imboccando a piedi la stradina. Troviamo subito, a 1380 metri circa, una bella mulattiera che si stacca, sulla destra, dalla stradina e sale alle baite di Scöccia, della Corte Grassa e della Corte Grande. Il percorso è segnalato da segnavia rosso–bianco–rossi. Nel primo tratto attraversa un bosco di faggi e pini silvestri, per uscire ai prati della Scöccia, dove, oltre alle baite, troviamo anche una fontana (m. 1450). Salendo ancora, approdiamo ai prati della Corte Grassa (m.1500), che, come testimonia il nome, si sono dimostrati sempre un maggengo generoso per gli armenti che di qui sono transitati, nei secoli, prima di salire agli alpeggi più alti di Baitridana, dell’alpe Piazza e dell’alpe Lago. Salendo, prendiamo a destra, fino ad incontrare un bivio, al quale prendiamo a sinistra, fino alle baite più alte della Corte Grande (m. 1600). Si tratta di maggenghi estremamente panoramici, per cui non potremo resistere alla tentazione di gettare un ampio sguardo sul versante occidentale della Val Gerola, sulla costiera dei Cech, sulla bassa Valtellina e sulla piana di Novate Mezzola.

Dopo un tratto pianeggiante, ad un nuovo bivio prendiamo ancora a sinistra e, oltrepassata una fontana, affrontiamo l’ultimo tratto prima dei Cornelli, che sale in una bella pecceta. Il sentiero esce alle baite dei Cornelli, oltrepassate le quali ci ritroviamo nei pressi del piccolo slargo al quale termina la pista sterrata. Ci attende ora una breve salita ed un tratto quasi pianeggiante verso destra, prima di uscire di nuovo, alle sbaite dei Cornelli (m. 1739): poco sopra, intercettiamo la pista sterrata di cui abbiamo parlato sopra, nel punto in cui termina ad uno slargo.

Imbocchiamo, ora, il sentiero che, passando a monte delle baite dei Cornelli, si dirige verso est, in direzione degli splendidi ed ampi alpeggi di Baitridana e dell’alpe Piazza. Passando a monte dei prati di Baitridana, giungiamo, ben presto, ad un bivio, segnalato da diversi cartelli: il sentierino che si stacca sulla sinistra sale alla Pozza Rossa (piccola pozza in un’incantevole radura fra i larici del crinale), data a 15 minuti; proseguendo nella direzione che stiamo tenendo, cioè sul sentiero 132, raggiungiamo in 10 minuti Baitridana ed in 20 l’alpe Piazza; nella direzione dalla quale proveniamo, infine, sono segnalati i due sentieri numero 132 (che scende in 10 minuti alla Corte Grande, in 20 alla Corte Grassa ed in 40 minuti a Scöccia) e 149 (che porta in 30 minuti ad Egolo, in 50 minuti al Dosso Comune ed in un’ora e 20 minuti ad Albaredo). Ignorata la deviazione a sinistra per la Pozza Rossa, proseguiamo fino ad un ultimo boschetto, dal quale usciamo sul limite dell’ampia alpe Piazza. Un gruppo di cartelli, posto a valle della prima baita sopra il sentiero, segnala che stiamo procedendo sulla Gran Via delle Orobie, percorrendo la quale raggiungiamo l’alpe Lago ed il rifugio Alpe Lago in 40 minuti, l’alpe Orta in 3 ore e 10 minuti ed il passo di San Marco in 4 ore; nella direzione dalla quale proveniamo ritroviamo i riferimento ai sentieri per Cornelli–Corte Grande e Cornelli–Egolo–Albaredo; sulla nostra sinistra, infine, si stacca un sentiero che sale al crinale ed effettua una traversata al versante orobico valtellinese, sopra Talamona, portando all’alpe Pedroria in 30 minuti, alla boccheta del Pisello in un’ora e 20 minuti ed alla Val Budria in 2 ore e 50 minuti. Poco oltre, troviamo il rifugio Alpe Piazza (m. 1835), aperto anche d’inverno. Nessuna indicazione per il monte Lago, ma questo non pone particolari problemi: si tratta di seguire per un buon tratto la Gran Via delle Orobie, per poi lasciarla e salire al facile crinale che dalla cima scende verso ovest–sud–ovest, percorrendo il quale si guadagna facilmente la cima.

A questo punto se stiamo procedendo con gli sci sulla neve ci conviene effettuare un ampio arco in direzione della baita dell’alpe Piazza, poco sopra i duemila metri, cioè salire dapprima verso sud est , poi verso sud (piegando cioè leggermente a destra e passando a monte del bivacco Legüi). Se invece siamo in periodo estivo, seguiremo il sentiero che, attraversato un torrentello, ci porta al baitone quotato 1898 metri, affiancato dal piccolo bivacco Legüi. Sul baitone è posto un cartello che celebra le fatiche di quanti, nei secoli, si sono dedicati alle attività legate all’alpeggio ed alla produzione casearia. Poco più in alto si vede la solitaria baita Tachèr. Una sosta al bivacco ci permette di gustare il panorama, già da qui splendido, sulla bassa Valtellina e sul gruppo del Masino–Disgrazia, che, emergendo, quasi, dalla linea dei larici che si disegna, regolare, a monte del rifugio Piazza, offre un effetto di contrasto cromatico di rara suggestione.

Dal bivacco proseguiamo, intercettando una traccia di sentiero che proviene dalla baita dell’alpe, nei pressi della quale non mancherà il suono dei campanacci: è, questa, una delle alpi più pregiate delle valli del Bitto, e qui nasce l’omonimo formaggio, il più famoso prodotto caseario valtellinese. I due itinerari si congiungono, e conducono, oltre un dosso, ad una caratteristica conca, adagiata sotto il fianco settentrionale del monte Lago. Già, il monte Lago: ma come lo si riconosce? Non c’è problema: la sua piramide arrotondata ed armoniosa si impone allo sguardo, verso sud–est, fin da quando raggiungiamo la Corte Grassa, e rimane lì, davanti a noi, per nulla minaccioso, ma quasi invitante, con il suo crinale occidentale che solo nell’ultimissimo tratto si fa un tantino più ripido. Il suo nome deriva da quello dell’alpe omonima, dalla quale, però, non passiamo, perché si stende ai piedi del suo versante meridionale. D’inverno ci conviene aggirare a valle la conca, perché talora si staccano dal fianco del monte piccole slavine. In ogni caso la meta è il crinale occidentale del monte: d’estate la si raggiunge seguendo un sentierino che parte proprio dalla conca e raggiunge una bocchettina sul crinale , contrassegnata da un ometto, poco sopra i 2100 metri. Evitiamo di salire a vista, per non calpestare i preziosi alpeggi del Bitto.

Raggiunto, dunque, il crinale, pieghiamo a sinistra e cominciamo a salire, su traccia sempre abbastanza visibile. Il crinale propone solamente alcuni strappi, ma, nel complesso, è agevole. Gli ultimi sforzo ci portano alla croce della cima, a quota 2353, dalla quale il panorama, da ampio che era nell’alpe sottostante, si fa grandioso. Il monte, infatti, pur non essendo molto alto, è uno dei più panoramici delle Orobie occidentali, non avendo vicino a sé altre o costiere che sbarrino lo sguardo. Potremo così godere di un ottimo colpo d’occhio sulla catena orobica, sul gruppo del Masino–Bregaglia, sul monte Disgrazia e sul versante orientale delle Alpi Lepontine.

La carrellata delle cime merita di essere menzionata nel dettaglio. A nord, da sinistra, si propongono le cime della Costiera dei Cech, seguite dal gruppo del Masino, che si propone nella sua integrale bellezza, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678), che si erge, maestoso, alle spalle del più modesto e vicino monte Piscino. Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136). Più a destra, il pizzo Combolo (m. 2900) chiude la sequenza delle cime visibili: il fianco orientale della Val di Tartano, infatti, impedisce di vedere il gruppo dell’Adamello e di intravedere le cime delle Orobie centrali.

In compenso, il colpo d’occhio su buona parte della Val di Tartano, ad est e a sud, è molto interessante, anche se non completo: si mostrano, da sinistra, tutte le cime più significative della Val Lunga, i pizzi Torrenzuolo e del Gerlo, il monte Seleron, la cima Vallocci, la cima delle Cadelle ed il monte Valegino; il monte Gavet, il monte Moro ed il pizzo della Scala separano Val Lunga e Val Corta; segue la Val di Lemma, ramo orientale dell’alta Val Cortadivisa a metà dal pizzo del Vallone; ed ancora, il pizzo Foppone, che si innalza, puntuto, dietro il suo caratteristico avamposto boscoso, e, alle sue spalle, l’arrotondato monte Tartano; alla sua destra la Val Bùdria, ramo occidentale della Val Corta, , di cui si vede, però solo la parte più alta, con il minuscolo pizzo del Vento, la cima quotata 2319 e, appena visibile, sull’angolo di sud–ovest, il monte Azzarini (o monte Fioraro); a sud vediamo il crinale che separa la Valle del Bitto di Albaredo, con, in primo piano, il monte Pedena e, alle sue spalle, il monte Azzarini; a sud–ovest e ad ovest, infine, vediamo il passo di S. Marco ed il crinale che separa le valli del Bitto; dietro di questo, si scorge buona parte del versante occidentale della Val Gerola e, sul fondo, l’inconfondibile corno del monte Legnone, che delimita, sulla sinistra, lo stupendo quadretto dell’alto Lario, con cui si chiude questo giro d’orizzonte a 360 gradi.Un panorama di eccezionale bellezza, che ripaga gli sforzi delle 3 ore circa di cammino necessarie per superare un dislivello in salita approssimativo di 1000 metri.

La discesa avviene per la medesima via di salita; d’inverno, se le condizioni della neve sono buone, non presenta difficoltà, così come è facile la salita alla vetta in periodo estivo. Un itinerario da consigliare, dunque, a chi desidera un incontro ravvicinato con le bellezze della montagna senza assumersi inutili rischi. Una riflessione conclusiva deve, però, accompagnarsi a queste note panoramiche: oggi si sale al monte Lago per godere di questo stupendo panorama. In passato vi si saliva per necessità, percorrendo poi il crinaleverso sud e scendendo alle più alte e scoscese balze che danno sulla Val Budria. A farlo erano soprattutto le contadine spinte fin qui dalla necessità di integrare la scorta di forgaggio per le poche bestie. Venivano soprattutto dal versante della Valle di Albaredo, appoggiandosi al crinale a sud del monte Lago (lo vediamo, in alto, alla nostra sinistra) e scendendo alle balze più alte della Val Budria, scoscese e pericolose (vi fu anche qualche vittima). Venivano a fare la “cèra”, cioè a tagliare quell’erba scivolosa e filiforme che, pur non avendo un particolare pregio come nutriente, consentiva pur sempre di integrare la scorta di fieno.

Arrivavano sul far dell’alba, quando ancora si vedevano le sette stelle del “pradèr”, finché nel cielo nonrestava solo l’ultima stella, la stella del mattino, “la dì”. Per arrivare così presto dovevano partire, in gruppi di una ventina di donne, almeno un paio d’ore prima, verso le tre, nel cuore della notte, e camminare qualche ora. Tagliavano l’erba per diverse ore, calzando zoccoli ferrati che permettevano di ancorarsi meglio al terreno. La sera, con una trentina di chili d’erba nella gerla, se ne tornavano a casa, e così ogni giorno, per 10–12 ore, tutta l’estate e per buona parte dell’autunno (qualche volta addirittura fino a S. Caterina, il 25 di novembre, come racconta Orsola Petrelli, una testimone intervistata da Patrizio Del Nero, autore del bel volume “Albaredo e la Via di San Marco”, Editour, 2001).

Testo e fotografie a cura di Massimo Dei Cas

Pagina aggiornata il 03/07/2023