Il Monte Azzarini

Il più alto della Valle del Bitto di Albaredo

Clicca qui per aprire una panoramica a 360 gradi dalla cima del monte Azzarini Il monte Azzarini, con i suoi 2431 metri, è il più alto della Valle del Bitto di Albaredo, e, dopo il monte Lago ed il monte Pedena, è la terza significativa elevazione, salendo da nord a sud, sul crinale che separa questa valle, ad ovest, dalla Val Budria, ad est. Sulla sua cima, poi, convergono i vertici di tre valli, la Valle di Albaredo e la Val Tartano, a nord, e la Val Brembana, a sud. Il suo nome deriva da “laresìn”, cioè da “larice”, anche se sul versante bergamasco è più conosciuto come monte Fioraro. Non è una cima semplice da raggiungere, perché il percorso necessario è abbastanza articolato e propone passaggi che richiedono esperienza escursionistica. Tre i possibili punti di partenza per l’ascensione, la Casera di Pedena, il secondo tornante dopo la Casera d’Orta Soliva, procedendo sulla strada provinciale per il passo di S. Marco, ed un punto della medesima strada provinciale posto poco più avanti.

Le prime due vie si congiungono nell’alta conca dell’alpe d’Orta, ed intercettano la terza sul crinale che scende dalla cima verso sud: l’ultimo tratto della salita, comune a tutte e tre, sfrutta questo crinale, percorso, ovviamente, verso nord. Partiamo dall’illustrazione della prima, la più articolata e complessa, che sale dalla Val Pedena e traversa all’alpe d’Orta. Portiamoci con l’automobile da Morbegno ad Albaredo per S. Marco, proseguendo poi in direzione del passo, fino all’altezza del km. 20, dove incontriamo l’ampio solco della Val Pedena, che si apre a sinistra della strada. Troviamo, qui, la segnalazione della Casera di Pedena. Prima di impegnare il ponte che scavalca il torrente Pedena, per poi volgere decisamente a destra, la strada presenta, sulla destra, un ampio slargo, al quale possiamo lasciare l’automobile, ad una quota di 1538 metri. Dal parcheggio vediamo pressoché tutta la Val Pedena, compresa l’ampia sella terminale sulla quale è posto il passo.

Attraversata la strada, imbocchiamo la breve pista che conduce alla Casera di Pedena. Appena oltre la casera, imbocchiamo un sentierino che si addentra nella valle, sul fianco sinistro (per chi sale), con andamento diritto, in leggera salita, fino ad un casello dell’acqua, oltre il quale la traccia va perdendosi. Proseguiamo, quindi, a vista, fra radi pascoli e molti piccoli massi, mantenendo la medesima direzione e rimanendo, nel versante settentrionale della valle, più o meno a metà fra il torrente, che scorre, più in basso, alla nostra destra, ed una fascia di ontani, che colonizza il versante più in alto, alla nostra sinistra. Guardando davanti a noi, a sinistra, intuiamo dove passa la via che ci permette di superare il salto roccioso che ci separa dal circo terminale della valle: l’unica via praticabile sembra (ed è) la fascia di ontani che sale fra due formazioni rocciose.

Quando giungiamo in vista di una serie di muretti a secco posti in sequenza dall’allto al basso, pieghiamo a sinistra e passiamo a monte dei muretti più bassi (ogni tanto si vede qualche segnavia bianco–rosso, ma non possiamo farci troppo affidamento). Arrivati all’altezza del più interno (nella valle) dei muriccioli, pieghiamo decisamente a sinistra e cominciamo a salir quasi diritti, puntando ad un grosso masso. Passando, poi, a sinistra di una porta fra muretti a secco, proseguiamo nella salita, su debole traccia di sentiero, verso il limite inferiore della fascia di ontani. Prima di raggiungerla, però, pieghiamo a destra, portandoci sul filo di un dossetto, che si affaccia su un torrentello: sul lato opposto del valloncello, osservando con un po’ di attenzione, vediamo il punto nel quale il sentiero riprende, dopo aver guadato il torrentello. Portiamoci al guado e passiamo sul dossetto erboso che sta sul lato opposto del torrentello: qui, seguendo il sentiero, pieghiamo a sinistra e cominciamo a risalirlo zigzagando, rimanendo a destra della fascia di ontani, finché il sentiero piega a sinistra e torna al torrentello, passandolo ora da destra a sinistra e proseguendo sul lato opposto.

Troviamo subito un segnavia bianco–rosso su un sasso alla nostra sinistra, ma il sentiero è ben visibile, per cui procediamo tranquilli. La traccia, dopo un tratto con andamento zigzagante, piega a destra, facendosi anche un po’ sporca, e ci riporta per la terza volta al torrentello: volge quindi a sinistra, sale tenendosi parallela ad esso per un tratto, poi scarta a destra e lo attraversa. Usciamo, così, dalla fascia di ontani, ad una quota approssimativa di 1810 metri. La traccia, ora, diventa molto meno visibile: siamo su un terreno di bassa vegetazione e dobbiamo prestare attenzione a seguirne i segni, proseguendo quasi in piano e passando sotto un masso liscio. Alla fine usciamo alla parte bassa dei prati del circo terminale della valle. Per un breve tratto la traccia c’è, poi torna a scomparire. Procediamo, dunque, prendendo come punto di riferimento il limite superiore della fascia di ontani che si trova alla nostra destra e rimanendo qualche metro più alti rispetto ad essi. Procedendo così, su terreno un po’ accidentato, raggiungiamo un piccolo corso d’acqua, che non attraversiamo, lasciandolo alla nostra destra; piegando leggermente a sinistra, dopo una breve salita ci portiamo al punto nel quale intercettiamo quella che un tempo doveva essere una larga e comoda mulattiera, che proviene da sinistra (cioè dal rudere di baita che è rimasto, nascosto dalla curvatura dei prati, alla nostra sinistra) e prosegue verso destra (segnavia bianco–rossi).

Seguendola verso destra, raggiungiamo un gruppo di tre cartelli semidivelti, tutti della GVO (Gran Via delle Orobie), che segnalano un bivio, ad una quota approssimativa di 1860 metri. Nella direzione dalla quale proveniamo un cartello indica l’alpe Lago e l’alpe Piazza, data ad un’ora e 20 minuti (si tratta della variante bassa della GVO; per raggiungere questi alpeggi, però, non dobbiamo percorrere a rovescio l’itinerario di salita, ma portarci al rudere di baita con recinto e di qui imboccare il sentiero che effettua la traversata dalla Val Pedena alla Valle di Lago, a nord di questa). Un secondo cartello indica che proseguendo verso destra, cioè in direzione sud, ci si porta in un’ora all’alpe Orta ed in un’ora e 50 minuti al passo di San Marco. Il terzo cartello, quello che ci interessa, indica che prendendo a sinistra saliamo al passo di Pedena in un’ora e 10 minuti, iniziamo la traversata dell’alta Val Budria in un’ora e 40 minuti e quella della Val di Lemma in 3 ore e 30 minuti. Prendiamo, dunque, a sinistra, iniziando a salire verso est–nord–est (la traccia, qui, non si vede), per poi piegare a destra ed attraversare una sorta di corridoio erboso. C’è da dire che in questo punto della salita non è facile seguire la traccia, che gioca a rimpiattino; in ogni caso si può salire anche a vista, descrivendo una diagonale che tende gradualmente a destra fino alla baita isolata di quota 2000, non indicata sulla carta IGM. Vediamo, comunque, come tentare di seguire la traccia fino a questa baita.

Qualche segnavia sbiadito ci fa salire per un tratto verso destra, poi svoltare a sinistra, e quindi di nuovo a destra. Giungiamo, così, in vista del manufatto che serviva alla teleferica ormai in disuso, e che testimonia l’importanza, in passato, di questo ampio alpeggio. Sulla destra, più in basso, vediamo anche un calecc. Ora bisogna tirare un po’ ad indovinare: c’è una svolta a sinistra (con successiva svolta a destra), ma non è facile vederla. Se la perdiamo, prendiamo come punto di riferimento una splendida pianetta erbosa, e cominciamo a salire ad qui diritti, superando con un po’ di fatica ma senza difficoltà alcune rocce montonate: alla fine, ad una seconda pianetta, intercettiamo di nuovo, ad una quota approssimativa di 1960 metri, la traccia, che proviene da sinistra, e la seguiamo verso destra. Qui è tornata ben visibile, in alcuni tratti scalinata, e si destreggia fra diversi affioramenti rocciosi. Passiamo, così, alti, sulla verticale del manufatto della teleferica, attraversiamo un piccolo corso d’acqua e raggiungiamo l’ampia conca della piccola baita posta a quota 2000 metri, presso la quale vediamo un grande roccione ed un ampio recinto con muretto a secco. Sul lato meridionale (di destra) del muretto vediamo una porta e, su un masso, un grande rettangolo bianco. L’indicazione riguarda la bocchetta di quota 2175, che vediamo più in alto, leggermente a sinistra (non confondiamola con un intaglio nella roccia molto più marcato, a destra) al termine di un canalone abbastanza ripido, aperta fra il pizzo d’Orta a destra (m. 2183), scuro corno roccioso che sorveglia l’angolo sud–occidentale della Val Pedena, e i versanti rocciosi che scendono a nord dal monte Azzarini, a sinistra. La bocchetta porta sul limite settentrionale dell’alpe d’Orta, dal quale si può guadagnare il crinale che scende verso sud–ovest dal monte Azzarini e, percorrendolo, salire alla cima. Vediamo come.

Lasciamo alle nostre spalle il recinto della baita e puntiamo al largo canalone, che va restringendosi nella parte alta fino alla stretta bocchetta. Vedremo, all’inizio, su un sasso una freccia bianca che indica una svolta a sinistra, a significare che la salita alla cima si effettua per il versante opposto rispetto a quello della Val Pedena. La salita al canalone non presenta particolari difficoltà, anche se è un po’ faticosa, soprattutto nell’ultima parte. La discesa, sul versante opposto, ai pascoli dell’alpe d’Orta Soliva è, invece, meno semplice, in quanto dobbiamo aggirare, sulla destra, un gruppo di roccette e scegliere, lungo un ripido canalino erboso, la via più razionale di discesa. Raggiunta la parte alta dell’alpe, non scendiamo verso il ricovero che vediamo, diritto davanti a noi, più in basso, ma prendiamo a sinistra, effettuando una traversata che si tiene sul margine alto dell’alpeggio. Guardando al versante che scende dal crinale meridionale del monte Azzarini, vedremo almeno due possibili punti di accesso, che sfruttano canalini erbosi non troppo ripidi. Puntiamo a quello che ci sembra più facile e, con un po’ di fatica e molta attenzione, raggiungiamo, infine, il crinale. Qui troviamo un sentiero che lo percorre: procedendo verso sinistra, raggiungiamo facilmente l’anticima (m. 2343), che precede l’ultimo strappo, ripido, ma tranquillo: alla fine, dopo circa 3 ore e mezza di cammino, superato un dislivello approssimativo di 1000 metri, siamo ai 2431 metri della cima.

All’alta alpe di Orta Soliva possiamo, però giungere per via più breve e semplice seguendo questo secondo percorso. Salendo con l’automobile sulla provinciale per il passo di San Marco, non fermiamoci alla Casera di Pedena, ma proseguiamo verso il passo. Tagliato il dosso della Motta, in un tratto nel quale la strada attraversa un corridoio scavato nella roccia, saliamo per un bel tratto verso sud–est, fino ad incontrare, sulla sinistra, la Casera d’Orta Soliva (m. 1724). Poco oltre affrontiamo un tornante sinistrorso e, dopo breve salita, uno destrorso. A questo secondo tornante, però, dobbiamo lasciare l’automobile, al primo slargo utile, a 1810 metri. Proprio in corrispondenza del tornante troveremo una larga traccia di sentiero che sale ai prati a monte della strada, perdendosi, però, dopo il primo tratto. Proseguiamo, quindi, a vista, rimanendo sul lato sinistro, non lontano dalla piccola forra del torrente che scende dall’alpe d’Orta. Più in alto ritroviamo la traccia, che passa in una porta nella roccia e, attraversata una breve macchia, conduce ad una fascia superiore di prati. Anche qui la traccia si perde, ma, come sotto, procediamo salendo diritti, sul limite sinistro, fino a vedere la ripresa della traccia che, molto ben marcata, prende a sinistra e porta al punto nel quale possiamo guadare il torrente dell’alpe, in un tratto sostenuto da un bel muretto a secco.

Passati da destra a sinistra della valle, risaliamo, in diagonale verso sinistra, una terza fascia di ripidi prati, fino ad intercettare la mulattiera che dallla Val Pedena e dal dosso della Motta, alla nostra sinistra, sale verso l’alpe. Procedendo verso destra, raggiungiamo il limite inferiore del circo dell’alpe d’Orta Soliva, a 1906 metri. Poi la traccia si perde, ma noi possiamo facilmente procedere a vista, su deboli tracce, in direzione del ricovero con tetto in lamiera e del facile crinale che chiude l’alpe ad est. Individuati i due corridoi per salirvi, procediamo come sopra descritto, fino alla cima. In questo caso il tempo di salita si riduce ad un paio d’ore, ed il dislivello approssimativo a 621 metri. Ecco, infine, la terza via, di difficoltà e lunghezza intermedie rispetto alle precedenti. Il punto di partenza è ancora più avanzato, sempre sulla provinciale per il passo di San Marco, diciamo oltre 4 km oltre.

Prestiamo attenzione ai cartelli segnaletici che scandiscono i km della provinciale; raggiunto quello che segna il km 24, procediamo ancora per poche centinaia di metri, fino a giungere in prossimità della grande svolta a destra (in corrispondenza del solco principale, comunque poco accentuato, della Valle d’Orta) che porta la strada ad aggirare, con un successivo arco a sinistra, l’ultimo dosso prima del passo (che da qui non si vede). Sul lato destro della strada troviamo una serie di cippi in cemento per contenere i mezzi entro la carreggiata. Raggiunto uno slargo, sulla sinistra della strada, nel punto in cui questa piega leggermente a sinistra prima della marcata svolta a destra, lasciamo qui l’automobile, ad una quota di 1870 metri, e cerchiamo, pochi metri più avanti, sul lato di sinistra (a monte della strada) un’indicazione con i numeri 17 e 18 (non si sono né cartelli né segnavia). Guardando con attenzione, vedremo una traccia di sentiero che risale il versante, passando a destra di un ometto appena abbozzato ed a sinistra di un rudere di calecc in condizioni precarie, salendo per un tratto diritto e poi piegando a sinistra, per tagliare una fascia di ontani e macereti e portarsi sul filo di un dosso. All’inizio il sentiero si vede appena, ma poco sopra, quando volge a sinistra, è discretamente visibile.

Guadagnato il filo del dosso, lo risaliamo senza problemi e senza necessità di seguire il sentiero, dal momento che siamo su terreno aperto, che propone alcune facili roccette arrotondate. Procedendo diritti, in direzione est, arriveremo, ben presto, alla baita isolata di quota 1952, alle cui spalle, in alto, vediamo aprirsi due grandi conche occupate in buona parte da sfasciumi, che si trovano immediatamente a sud dell’alpe di Orta Soliva (da qui non la vediamo): teniamo presente che noi dovremo portarci alla conca di destra, più piccola. Entriamo, ora, nel recinto con bassi muretti a secco che troviamo dietro la baita, per uscirne dalla portina che troviamo sul lato opposto e procedere, su balze erbose, passando a sinistra di un evidente panettone di roccette e macereti, e salendo gradualmente in direzione est–nord–est. Raggiunto il fianco di questo panettone, pieghiamo leggermente a destra e saliamo ad un ometto, su traccia debole, ma visibile. Ci introduciamo, così, alla conce terminale ed iniziamo a descrivere un ampio arco verso sinistra, in senso, cioè, antiorario, che taglia la parte bassa del fianco terminale della conca, sotto il crinale fra Valle di Albaredo e Val Brembana, passando a monte del grande ammasso di sfasciumi che occupa l’intera sua zona centrale. Ora dobbiamo osservare questo versante, individuando il canalino erboso per il quale possiamo salirvi; ce n’è più d’uno, ed il più facile è quello più a sinistra, sull’angolo opposto rispetto al nostro d’ingresso, che sale al crinale appena a destra di una sorta di corno roccioso a forma di naso; a sinistra della sella, il crinale si fa decisamente più ripido e sale alla cima quotata 2162 metri.

Una volta raggiunto, con un po’ di fatica ma senza eccessive difficoltà, il crinale, lo seguiamo verso sinistra. Dal crinale la cima quotata 2162 metri si mostra rocciosa ed impervia, ma un sentiero, che lo percorre interamente, la risale senza difficoltà, perché si appoggia sul più facile ed erboso versante di destra, che si affaccia sull’alta Val Brembana, ed è sempre abbastanza netto e ben scalinato, per cui, nonostante l’andamento ripido, non pone problemi. Ci attende, poi, un tratto quasi pianeggiante, che ci porta a quattro grandi ometti, sul penultimo dei quali sventola una bandierina rossa, mentre l’ultimo ospita una statuetta della Madonna; qui il crinale corre alto sopra la seconda delle due conche a monte della baita, quella che abbiamo visto alla nostra sinistra; anche qui giungono, da sinistra, alcuni canalini erboso, ma sono più ripidi e difficili. Il versante di destra, quello della Val Brembana, è, invece, decisamente meno ripido; più in basso, su questo versante, passa il sentiero 101, che parte poco sotto il passo di San Marco ed effettua una traversata al lago di Cavizzola (2 ore e 25 minuti) ed a San Simone (3 ore e 40), passando per il bivacco Simone.

Terminato questo tratto in cui si sale appena, ci attende una nuova impennata del crinale, che porta alla cima quotata 2212 metri. Procediamo, ora, con attenzione, perché dobbiamo superare alcuni punti esposti o scivolosi; dopo un primo passaggio esposto sulla sinistra, troviamo uno smottamento che restringe di molto il crinale ed un gruppetto di rocce che viene aggirato sulla destra. Raggiungiamo, così, dopo uno strappo, una sella, oltre la quale alcune roccette vengono aggirate sulla sinistra, cioè appoggiandosi al crinale della Valle di Albaredo. Dopo una nuova modesta sella erbosa la traccia piega a destra per aggirare alcuni roccioni. Un ultimo dosso erboso ci porta all’anticima di quota 2349, dalla quale ci affacciamo alla grande conce verde dell’alpe d’Orta Soliva, che si apre alla nostra sinistra e per la quale passano i due itinerari sopra descritti. Percorso un tratto quasi pianeggiante, al quale giungono un paio di canalini erbosi dall’alpe d’Orta, affrontiamo l’ultima salita, raggiungendo facilmente l’ometto e la piccola croce della cima (m. 2431), dedicata alla memoria di Claudio Camoggi e collocata il 28 novembre del 1992 (teniamo presente che questa cima è frequentata più da amanti dello sci–alpinismo che da escursionisti). Ad est della cima erbosa ne vediamo una seconda, quasi gemella, separata da un brevissimo e facile corridoio. Siamo in cammino da circa due ore ed un quarto, ed abbiamo superato un dislivello approssimativo in altezza di 600 metri.

Molto ampio ed affascinante il panorama. A nord vediamo, in primo piano, il monte Pedena (m. 2399), a sinistra della Val Budria; alle loro spalle, da sinistra, si propongono le cime della Costiera dei Cech (alle cui spalle fanno capolino le cime che coronano la Valle dei Ratti), seguite dal gruppo del Masino, che si propone nella sua integrale bellezza, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678). Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136).

Poi il fianco orientale della Val di Tartano chiude ad est l’orizzonte ed impedisce di vedere il gruppo dell’Adamello e di intravedere le cime delle Orobie centrali. In compenso, il colpo d’occhio su buona parte della Val di Tartano, ad est e a sud, è molto interessante, anche se non completo: si mostrano, da sinistra, tutte le cime più significative della Val Lunga, i pizzi Torrenzuolo e del Gerlo, il monte Seleron, la cima Vallocci, la cima delle Cadelle ed il monte Valegino; davanti a loro vediamo la costiera Val Lunga–Val Corta, con il monte Gavet, il monte Moro ed il pizzo della Scala; in primo piano si mostra la Val Budria, ramo occidentale della Val Corta, di cui vediamo assai bene il crinale che la separa dalla Val Brembana. Alle spalle del versante orientale della Val Lunga si vede, invece, una suggestiva fuga di quinte di valli orobiche, e si intravedono le più alte cime delle Orobie centrali.

Il panorama, a sud–est e sud, è dominato dalla Val Brembana, mentre a sud–ovest lo sguardo scende al passo di San Marco, alle cui spalle si distinguono le cime di Ponteranica ed il monte Valletto, sulla testata orientale della Val Gerola. Alla loro destra, più lontani, si propongono i pizzi dei Tre Signori, di Trona e Varrone, sull’angolo di nord–ovest della medesima valle. Ad ovest, alle spalle del lungo e boscoso dosso di Bema, vediamo tutte le cime del versante occidentale della Val Gerola; alle loro spalle emerge, sulla destra, l’inconfondibile corno del monte Legnone, che delimita, sulla sinistra, un breve scorcio sulla bassa Valtellina, incorniciato dalle alpi Lepontine, con cui si chiude questo giro d’orizzonte a 360 gradi.

 

 

Pagina aggiornata il 03/07/2023