Il passo di Pedena (m. 2234) è la più agevole porta che congiunga la Valle del Bitto di Albaredo con la Val Budria, ramo occidentale della Val Corta (Val di Tartano). L’etimologia del toponimo è controversa: secondo alcuni deriva da una voce il lirica che significa “luogo fortificato”, ma più probabile è l’origine dal latino “pedes”, “piede”, a significare un luogo che può essere raggiunto solo a piedi in quanto erto, ripido. Ed in effetti il primo tratto del versante che scende dal passo verso la Val Budria è abbastanza ripido, ma, per il resto, si tratta di un passo facilmente praticabile anche da escursionisti privi di consolidata esperienza (il che non significa che non si debba prestare quell’attenzione che deve accompagnare, in montagna, ogni passo).
Il valico è posto su un’ampia sella erbosa, che si stende fra il monte Pedena (m. 2399), a nord, ed il monte Azzarini o Fioraro (m. 2431), a sud, sella nella quale culmina, sul versante della Valle di Albaredo, l’ampia Val Pedena, che si apre interamente alla vista di coloro che transitano sulla strada provinciale n. 8 del passo di San Marco, all’altezza della Casera di Pedena (km 20). Il passo è anche la via più semplice per effettuare una bella traversata dalla Valle di Albaredo alla Val Tartano, e di qui passa il sentiero Andrea Paniga, sezione occidentale della Gran Via delle Orobie, che scende dal passo di S. Marco. Per essere più precisi, di qui passa la variante meridionale della Gran Via delle Orobie: ne esiste anche una più bassa, cioè settentrionale, che sfrutta la meno nota bocchetta del Pisello, alla quale sale dall’alpe Piazza, per poi scendere direttamente alle contrade all’ingresso della Val Corta e di qui a Tartano (la variante meridionale contempla, invece, la discesa dell’intera Val Budria).
Ovviamente entrambe le varianti hanno i loro pro e contro. Quella più alta (per il passo di Pedena) è sicuramente più agevole, non pone grossi problemi di orientamento e permette la traversata integrale del circo alto della bella e selvaggia Val Budria, con passaggio diretto alla Val di Lemma senza perdere quota: per questi motivi la consiglio, anche se la salita al passo di Pedena è segnalata assai male. Quella più bassa, per la bocchetta del Pisello, ha il vantaggio di passare per gli splendidi scenari dell’alpe Piazza, facendo eventualmente tappa al rifugio omonimo, ma ha uno svantaggio di non poco conto: la discesa dalla bocchetta del Pisello al fondo della Val Corta, in attesa di segnalazione più efficace (stante la situazione al luglio 2007; spero che questo rilievo sia ben presto superato) è tutt’altro che semplice, per motivi di orientamento (più di una persona si è persa nei boschi del versante occidentale della bassa Val Corta). Raccontiamo, dunque, la salita al passo di Pedena, illustrando anche l’eventuale successiva discesa per la Val Corta, fino a Tartano. Dobbiamo portarci con l’automobile da Morbegno ad Albaredo per S. Marco, proseguendo poi in direzione del passo, fino all’altezza del km. 20, dove incontriamo l’ampio solco della Val Pedena, che si apre a sinistra della strada. Troviamo segnalazioni della Casera di Pedena. Prima di impegnare il ponte che scavalca il torrente Pedena, per poi volgere decisamente a destra, la strada presenta, sulla destra, un ampio slargo, al quale possiamo lasciare l’automobile, ad una quota di 1538 metri. Dal parcheggio vediamo pressoché tutta la Val Pedena, compresa l’ampia sella terminale sulla quale è posto il passo.
Attraversata la strada, imbocchiamo la breve pista che conduce alla Casera di Pedena. Appena oltre la casera, imbocchiamo un sentierino che si addentra nella valle, sul fianco sinistro (per chi sale), con andamento diritto, in leggera salita, fino ad un casello dell’acqua, oltre il quale la traccia va perdendosi. Proseguiamo, quindi, a vista, fra radi pascoli e molti piccoli massi, mantenendo la medesima direzione e rimanendo, nel versante settentrionale della valle, più o meno a metà fra il torrente, che scorre, più in basso, alla nostra destra, ed una fascia di ontani, che colonizza il versante più in alto, alla nostra sinistra. Guardando davanti a noi, a sinistra, intuiamo dove passa la via che ci permette di superare il salto roccioso che ci separa dal circo terminale della valle: l’unica via praticabile sembra (ed è) la fascia di ontani che sale fra due formazioni rocciose. Quando giungiamo in vista di una serie di muretti a secco posti in sequenza dall’allto al basso, pieghiamo a sinistra e passiamo a monte dei muretti più bassi (ogni tanto si vede qualche segnavia bianco–rosso, ma non possiamo farci troppo affidamento). Arrivati all’altezza del più interno (nella valle) dei muriccioli, pieghiamo decisamente a sinistra e cominciamo a salir quasi diritti, puntando ad un grosso masso. Passando, poi, a sinistra di una porta fra muretti a secco, proseguiamo nella salita, su debole traccia di sentiero, verso il limite inferiore della fascia di ontani. Prima di raggiungerla, però, pieghiamo a destra, portandoci sul filo di un dossetto, che si affaccia su un torrentello: sul lato opposto del valloncello, osservando con un po’ di attenzione, vediamo il punto nel quale il sentiero riprende, dopo aver guadato il torrentello. Portiamoci al guado e passiamo sul dossetto erboso che sta sul lato opposto del torrentello: qui, seguendo il sentiero, pieghiamo a sinistra e cominciamo a risalirlo zigzagando, rimanendo a destra della fascia di ontani, finché il sentiero piega a sinistra e torna al torrentello, passandolo ora da destra a sinistra e proseguendo sul lato opposto.
Troviamo subito un segnavia bianco–rosso su un sasso alla nostra sinistra, ma il sentiero è ben visibile, per cui procediamo tranquilli. La traccia, dopo un tratto con andamento zigzagante, piega a destra, facendosi anche un po’ sporca, e ci riporta per la terza volta al torrentello: volge quindi a sinistra, sale tenendosi parallela ad esso per un tratto, poi scarta a destra e lo attraversa. Usciamo, così, dalla fascia di ontani, ad una quota approssimativa di 1810 metri. La traccia, ora, diventa molto meno visibile: siamo su un terreno di bassa vegetazione e dobbiamo prestare attenzione a seguirne i segni, proseguendo quasi in piano e passando sotto un masso liscio. Alla fine usciamo alla parte bassa dei prati del circo terminale della valle. Per un breve tratto la traccia c’è, poi torna a scomparire. Procediamo, dunque, prendendo come punto di riferimento il limite superiore della fascia di ontani che si trova alla nostra destra e rimanendo qualche metro più alti rispetto ad essi. Procedendo così, su terreno un po’ accidentato, raggiungiamo un piccolo corso d’acqua, che non attraversiamo, lasciandolo alla nostra destra; piegando leggermente a sinistra, dopo una breve salita ci portiamo al punto nel quale intercettiamo quella che un tempo doveva essere una larga e comoda mulattiera, che proviene da sinistra (cioè dal rudere di baita che è rimasto, nascosto dalla curvatura dei prati, alla nostra sinistra) e prosegue verso destra (segnavia bianco–rossi).
Seguendola verso destra, raggiungiamo un gruppo di tre cartelli semidivelti, tutti della GVO (Gran Via delle Orobie), che segnalano un bivio, ad una quota approssimativa di 1860 metri. Nella direzione dalla quale proveniamo un cartello indica l’alpe Lago e l’alpe Piazza, data ad un’ora e 20 minuti (si tratta della variante bassa della GVO; per raggiungere questi alpeggi, però, non dobbiamo percorrere a rovescio l’itinerario di salita, ma portarci al rudere di baita con recinto e di qui imboccare il sentiero che effettua la traversata dalla Val Pedena alla Valle di Lago, a nord di questa). Un secondo cartello indica che proseguendo verso destra, cioè in direzione sud, ci si porta in un’ora all’alpe Orta ed in un’ora e 50 minuti al passo di San Marco. Il terzo cartello, quello che ci interessa, indica che prendendo a sinistra saliamo al passo di Pedena in un’ora e 10 minuti, iniziamo la traversata dell’alta Val Budria in un’ora e 40 minuti e quella della Val di Lemma in 3 ore e 30 minuti. Prendiamo, dunque, a sinistra, iniziando a salire verso est–nord–est (la traccia, qui, non si vede), per poi piegare a destra ed attraversare una sorta di corridoio erboso. C’è da dire che in questo punto della salita non è facile seguire la traccia, che gioca a rimpiattino; in ogni caso si può salire anche a vista, descrivendo una diagonale che tende gradualmente a destra: ci si ritroverà ad un ripido versante erboso che sale diritto alla sella del passo (lo si può sfruttare, ma è piuttosto faticoso), oppure, proseguendo nella diagonale verso destra, alla baita isolata di quota 2000, leggermente a destra rispetto al passo (non è indicata sulla carta IGM). Vediamo, comunque, come tentare di seguire la traccia fino a questa baita.
Qualche segnavia sbiadito ci fa salire per un tratto verso destra, poi svoltare a sinistra, e quindi di nuovo a destra. Giungiamo, così, in vista del manufatto che serviva alla teleferica ormai in disuso, e che testimonia l’importanza, in passato, di questo ampio alpeggio. Sulla destra, più in basso, vediamo anche un calecc. Ora bisogna tirare un po’ ad indovinare: c’è una svolta a sinistra (con successiva svolta a destra), ma non è facile vederla. Se la perdiamo, prendiamo come punto di riferimento una splendida pianetta erbosa, e cominciamo a salire ad qui diritti, superando con un po’ di fatica ma senza difficoltà alcune rocce montonate: alla fine, ad una seconda pianetta, intercettiamo di nuovo, ad una quota approssimativa di 1960 metri, la traccia, che proviene da sinistra, e la seguiamo verso destra. Qui è tornata ben visibile, in alcuni tratti scalinata, e si destreggia fra diversi affioramenti rocciosi. Passiamo, così, alti, sulla verticale del manufatto della teleferica, attraversiamo un piccolo corso d’acqua e raggiungiamo l’ampia conca della piccola baita posta a quota 2000 metri, presso la quale vediamo un grande roccione ed un ampio recinto con muretto a secco. Sul lato meridionale (di destra) del muretto vediamo una porta e, su un masso, un grande rettangolo bianco. L’indicazione riguarda non la salita al passo di Pedena, ma alla bocchetta di quota 2175, che vediamo più in alto, leggermente a sinistra (non confondiamola con un intaglio nella roccia molto più marcato, a destra) al termine di un canalone abbastanza ripido, aperta fra il pizzo d’Orta a destra (m. 2183), scuro corno roccioso che sorveglia l’angolo sud–occidentale della Val Pedena, e i versanti rocciosi che scendono a nord dal monte Azzarini, a sinistra. L’indicazione è rivolta a coloro che intendono effettuare una traversata dalla Val Pedena all’alta alpe d’Orta, sfruttando proprio la bocchetta. Dall’alpe d’Orta, poi, ci si può portare sul crinale che scende verso sud–ovest dal monte Azzarini e, percorrendolo, guadagnarne la cima.
Noi, invece, dobbiamo, dalla baita, procede in altra direzione (nord–est), cioè portarci sulla porta di sinistra (oltre la quale si trova un segnavia bianco–rosso), ritrovando il sentiero che attraversa un corso piccolo d’acqua da destra a sinistra (il medesimo che abbiamo attraversato in direzione inversa, poco sotto). Proseguendo diritti, passiamo per una bella porta intagliata in un roccione e raggiungiamo un baitello diroccato a quota 2040; poi pieghiamo a destra, descrivendo un arco che ci porta a salire in direzione di un muretto a secco che sostiene un tratto del sentiero, a quota 2110 circa. Approdiamo alla fascia dei pascoli più alti, quando la traccia si perde saliamo per un tratto diritti zigzagando e la intercettiamo più in alto, in un punto nel quale tende a sinistra. Superato un piccolo gradino costituito da un masso, giungiamo in vista dei cartelli che, alti sopra di noi, segnalano il punto della sella nel quale è posto il passo. Ora possiamo anche procedere tranquillamente a vista, fino ai 2234 metri del passo di Pedena, che raggiungiamo dopo circa 2 ore minuti di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 700 metri). Il panorama dal passo non è molto ampio. Più ampio è quello sul lato della Valle di Albaredo: davanti a noi vediamo l’ampio dosso di Bema e, alle sue spalle, il versante occidentale della Val Gerola. Sul fondo, uno scorcio dell’alto Lario, della alpi Lepontine e della Costiera dei Cech. Sul versante opposto, invece, il panorama è dominato dall’alta Val Budria. I due cartelli della GVO posti sul passo ci informano che nella direzione dalla quale siamo saliti la GVO scende fino al bivio sopra menzionato, proseguendo (a sinistra) per il passo di S. marco, che si raggiunge dopo 2 ore e 30 minuti (il passo di Verrobbio è dato, invece, a 3 ore e 20 minuti). Sul versante della Val Tartano, invece, la GVO effettua, in 3 ore, la traversata al passo di Tartano (per il circo alto delle valli Budrie e di Lemma), scendendo, poi, ai laghi di Porcile (dati a 3 ore e 20 minuti).
La discesa all’automobile avviene per la medesima via di salita, ma, se disponiamo di due mezzi ed uno di questi ci attende a Tartano, possiamo scendere dalla Val Budria, completando una bella traversata fra le due valli. All’inizio la discesa è un po’ ripida è un po’ripida: dopo un primo tratto a destra (sud–sud–est), pieghiamo a sinistra (est–nord–est), passando a destra di un ampio corpo franoso, fino a raggiungere, scendendo a zig–zag, verso la ben visibile baita isolata dei Pradelli di Pedena (m. 2024), dove si trova un bivio: prendendo a destra si segue la GVO che traversa l’alta valle e raggiunge la bocchetta che si affaccia all’alta Val di Lemma; prendendo a sinistra, invece, si scende in bassa Val Budria. Prendiamo, dunque, a sinistra (nord–nord–est), su sentiero ora ben visibile, lasciando la GVO e scendendo alle due baite di Saroden (m. 1974). Qui pieghiamo leggermente a destra (ignorando invece una traccia di sinistra, peraltro poco visibile), scendendo fino al limite di una fascia di ontani, nella quale il sentiero, molto marcato, si immerge, proseguendo nella discesa con qualche tornante. Raggiunto il limite basso della fascia, ci affacciamo ai pascoli del fondovalle, dove la traccia si va perdendo. Scendendo in diagonale, passiamo per la baita isolata di quota 1555 e puntiamo alla casera di Val Budria (m. 1488) sul limite basso dell’ampia conca che si stende ai piedi dell’ultimo gradino di soglia della valle. Qui troviamo la mulattiera che prosegue nella discesa della valle, rimanendo sempre a sinistra del torrente. Passiamo, così, bassi rispetto al bel nucleo di baite della Bratta (m. 1402). Alla contrada Bagini troviamo, ignorandola, la deviazione a destra per la Val di Lemma.
La mulattiera diventa un tratturo, che porta alla pista carozzabile tracciata di recente dal parcheggio della Biorca. Percorrendola, siamo all’ampio slargo presso la località Biorca (m. 1165), più bassa rispetto al nucleo centrale di Tartano: qui, di solito si parcheggiano le automobili, e qui, dunque, ritroveremo la nostra, che ci consentirà di recuperare la seconda automobile, parcheggiata alla Casera di Pedena. La traversata dalla Casera di Pedena a Tartano richiede circa 4 ore di cammino, per un dislivello in salita approssimativo di 700 metri.
Testo e fotografie a cura di Massimo Dei Cas
Pagina aggiornata il 06/07/2023