Il canto dei barilocc voci maschili
Il canto dei barilocc voci miste
Perchè “Canti popolari”? Perchè sono il vero significato di tanto folklore e amore che è stato concretamente e spontaneamente praticato nei paesi di montagna e ad Albaredo per San Marco dalla nostra gente.
È musica che si è trasmessa oralmente, diffusasi attraverso l’esecuzione e non con la notazione, appresa a orecchio. I nomi dei suoi autori sono ignoti, o comunque dimenticati. La musica popolare esiste, in quasi tutte le società della terra, in diversissime forme e in una grande varietà di condizioni socioculturali. Eseguita da membri della comunità privi di una formazione musicale specialistica, la musica popolare è spesso legata ai cicli delle stagioni, a eventi chiave nella vita personale e ad attività come la pratica religiosa, il lavoro, la cura dei figli. La musica popolare si può definire la musica degli strati meno colti, principalmente rurali, di società in cui esiste anche un’ élite musicale, la cui musica viene detta “classica” o “colta”. Quando passa da un esecutore all’altro, un canto popolare tende a modificarsi in seguito a interventi creativi, imperfezioni della memoria, valori estetici diversi, e per l’influsso dello stile di altre musiche note all’esecutore. Una canzone popolare genera così delle varianti, trasformandosi un po’ alla volta e ripresentandosi in molte forme, a volte irriconoscibili. La musica popolare subisce in genere l’influsso dei centri culturali vicini (città , corti, monasteri), e spesso si comporta come una sorta di deposito che conserva per lunghi periodi caratteristiche di musica d’arte più antica.
Il “canto popolare” è la tradizione per eccellenza di tutti i popoli, lo è ancor di più per la gente di montagna. L’attaccamento alla terra, alle tradizioni sono divenuti cultura e identità dei nostri paesi. Questa caratteristica viene espressa attraverso la pratica del canto, forma comunicativa tra le più alte ed autentiche della tradizione popolare, che viene qui intesa soprattutto come parte essenziale ed integrante della vita famigliare e sociale di questa comunità . Gli abitanti ne sono orgogliosi e per secoli hanno tramandato con passione un patrimonio tradizionale di musiche e canzoni sulla vita quotidiana di una comunità di montagna; i mestieri agricoli, il lavoro in miniera, l’emigrazione, la guerra, le feste, l’innamoramento, le gioie, i dolori e le speranze di un passato che per il suo valore universale emoziona ed affascina anche le generazioni contemporanee. Quando la voce del cantore si diffonde, il cuore si scalda e la mente torna a sognare. Canti che si sono sempre sentiti risuonare nelle osterie, in occasione delle principali ricorrenze religiose, alle feste dei coscritti, o semplicemente la sera girando nelle contrade fino alle prime ore dell’alba, nei maggenghi, nelle serate in allegria.
Il testo che segue è ripreso integralmente da “Monti e Valli” del novembre 2000, scritto da Marco Lavezzo. Questo spazio vuole essere l’occasione per parlare del canto popolare di montagna, per capire un pò meglio questa forma di espressione. Non è solo musica o intrattenimento, né solamente folclore. Il canto di montagna è molto più di tutto questo: è parte della storia culturale popolare delle valli alpine. Questa semplice affermazione racchiude in sé i motivi per i quali esso è oggi ignorato o al più considerato come obsoleto. La cultura è cambiata: sono cambiati i mezzi di comunicazione e di istruzione e con essi è superata la tradizione popolare, nel senso del tramandarsi della cultura nel popolo. Del resto, il concetto stesso di popolo è mutato: un tempo, neppure troppo lontano, ogni valle aveva la propria identità , distinta dalla valle confinante, diversa persino da paese a paese. Identità che si riconosceva nelle sfumature dialettali, nelle multiformi tradizioni popolari.
La gente delle valli era per la più parte illetterata, eppure ha tramandato sino a noi una cultura ricca, ha formato e trasmesso finanche una vera e propria letteratura. Una letteratura orale, che risale al medioevo e a tempi anche più antichi, che ci è giunta sotto forma di fiabe e di canti. “I canti della montagna sono i canti della Patria, sono i canti che il padre insegna al figlio, che la madre canta, con lieve rossore di pudicizia, quando la figlia è lì ad ascoltare; ma sempre poesia, sempre nuova e sempre bella.” Così recita l’introduzione ad un canzoniere alpino.
Quei canti, quella “poesia sempre nuova e sempre bella”, esprimono il sentimento di un luogo, la saggezza di una popolazione, l’allegria e la tristezza della vita quotidiana, lontana dai fasti del palazzo, avulsa dalle tendenze letterarie, a volte anche dalla grammatica. La spontaneità e l’immediatezza sono quanto ancora oggi colpiscono l’uditore attento.
Il canto popolare ci riporta ad un tipo di comunicazione e di vita comunitaria, propria delle nostre regioni rurali, che più non esiste. Era un modo di comunicare idee e valori comuni, una letteratura che ammaestrava o confortava, una sorta di educazione, un narrare di situazioni tipiche necessario al funzionamento e al mantenimento dell’organizzazione sociale. Si trasmettevano messaggi con un particolare linguaggio, morale e al contempo formale. Il canto segnava, come un rituale, i vari momenti della vita di una comunità , specialmente quando tutta o buona parte di essa era riunita: le veglie, i lavori di gruppo come la spogliatura della meliga, la tessitura e la filatura, il lavare i panni, oppure durante le pause del lavoro e al termine dei convivi. Vecchi e giovani, grandi e piccini erano presenti. Compaiono allora nei canti le leggi della comunità , non quelle scritte, ma la coscienza collettiva. Ciò che colpisce è infatti la ricorrenza di tipi e motivi costanti: la pastorella, il lupo, il gentil galante, lo straniero, l’amore; oppure il matrimonio, il tradimento e la fedeltà , la verginità delle ragazze; poi la guerra e l’emigrazione, la partenza e il distacco, la nostalgia, la speranza nell’attesa, il dolore per la disgrazia.
La ragazza mandata a pascolare, ad esempio, era in tal modo istruita: sapeva in anticipo che doveva stare attenta agli agnellini contro il lupo e gli altri predatori, di diffidare degli sconosciuti, che in qualche modo doveva essere grata a chi l’avesse aiutata; viceversa ai ragazzi si insegnava a prestare aiuto in caso di necessità , a non profittare delle situazioni, a comportarsi con galanteria, a mantenersi fedeli negli affetti e alla famiglia. I testi sono il riflesso della vita comune, un catalogo di destini indirizzati a chi è in quella parte della vita in cui si costruisce il proprio destino. La funzione sociale del canto infatti è paragonabile a quella della fiaba, ma con percorsi diametralmente opposti.
La fiaba è un gioco sicuro, non ansioso, perché è prevista la certezza della soluzione positiva: la fiaba dà fiducia e non ha il finale moralistico della favola. Per questo si racconta ai bimbi. Quando però i bambini crescono, diventano adolescenti, si affacciano alla dura realtà della vita, non sono più turbati dai sogni inquietanti e hanno capito che orchi e fate sono frutto di pura fantasia. Devono però imparare a comportarsi in società , conoscerne le regole: i protagonisti dei canti sono sovente giovani, le loro attività e i loro sentimenti sono gli stessi degli uditori. Insomma, sono comuni mortali. E la morte stessa compare in alcuni canti.
Non sempre il finale è felice: sono le fiabe a terminare col “e vissero felici e contenti”. Il ripetere i testi in forma musicale rende più facile ricordare le parole associate, la melodia mitiga il turbamento psicologico indotto dal finale commovente e tuttavia ammaestra. Il canto popolare è sì letteratura, intesa come espressione culturale di un popolo, ma letteratura non scritta, tramandata di bocca in bocca. E in queste ripetute fasi si trasformava, si adattava, si applicava alla situazione contingente. Esso acquista una forma definitiva soltanto quando è espulso dall’ambito del parlare vivo, dal contesto pragmatico in cui è stato prodotto e nel quale veniva perpetuato. Quando, cioè, la sua esecuzione è affidata definitivamente alla scrittura.
Quella versione non è più soggetta a modificazioni continue, esce dal contesto popolare e si interrompe il processo di tradizione. Questo è il destino di tutti i canti, il cui testo e la cui melodia sono ormai “immortalati” in un canzoniere. Ma proprio in questo risiede la peculiarità della cultura “tradizionale”: anziché essere “immortalata”, essa muore nel momento stesso in cui esce dal campo dell’oralità per fissarsi in uno scritto. Quando cessa di essere orale, perde la sua vitalità e viene consegnata alla Storia. Questo è il motivo per cui molti giovani, quando ascoltano un canto tradizionale di montagna, mostrano sovente un sorriso di compiacimento sulle labbra, che cela un velo di commiserazione per una nostalgia fuori tempo: il genere musicale è sicuramente lontano dalle tendenze attuali, i testi, soprattutto per le giovani generazioni, non hanno più nulla da comunicare alla moderna società .
La tradizione non è più. Tuttavia è giusto che sopravvivano testi e melodie. Nuove motivazioni possono fare apprezzare all’uomo moderno questa antica forma di cultura. La Scuola ignora tali espressioni popolari. Certo non possiamo confondere la primizia di serra col fiore di campo: ben altra cosa è la storia della musica, inarrivabile il confronto con la storia della letteratura. Tuttavia è parte della nostra Storia, della cultura delle nostre terre, del nostro “popolo”, e non merita certo l’oblio. Ecco allora il compito degli appassionati e dei numerosi cori: far sì che le nuove generazioni possano conoscere vecchi e nuovi canti di montagna, resi gradevoli da armonizzazioni elaborate a firma di grandi maestri della musica, come quelle di Arturo Benedetti Michelangeli, ad esempio. La riscoperta di antiche melodie e un’accurata ricerca filologica consentono una moderna fruizione ludica di questa antica espressione culturale. Del resto nella società attuale, dominata da ben altri mezzi di comunicazione, è questo l’unico modo per garantirne la sopravvivenza.
Con l’inserimento di novità : diversi canti di montagna, oggi amati e sovente intonati, ritenuti tradizionali, sono invece recenti e recano la firma di un autore, sono protetti dal “copyright”: non appartengono al popolo, anche se da esso sono stati adottati. Se la funzione sociale ed educativa è ormai persa, perché obsoleta, il canto di montagna diventa allora strumento per nuove emozioni. Se il significato del testo è ormai secondario, acquista valore la musica. E qui si scoprono inattese ed interessanti caratteristiche delle antiche melodie montanare, che le armonizzazioni e le interpretazioni dei cori sanno esaltare, a volte in maniera mirabile.
Giuseppe Mazzotti, nell’introduzione ai “Canti della montagna, dal repertorio del coro della SAT” (1961), ci propone a tal proposito una bella riflessione, forse un po’ romantica ma certamente suggestiva: “… La linea melodica delle canzoni popolari aderisce agli aspetti e soprattutto al profilo del paesaggio. Una stessa canzone muta per insensibli sfumature da luogo a luogo, si direbbe secondo una legge analoga a quella che regola il mutar dell’accento della lingua e dei dialetti d’ogni paese. Le canzoni alpine, in ispecial modo, risentono dell’ambiente in cui sono fiorite. Le note lunghe, abbandonate, esprimono l’ampiezza delle valli, come per un bisogno di adagiarsi e disperdersi in lontananza. Le note acute, gutturali, saltellanti dei gridi dei montanari ripetono musicalmente gli aridi aspetti delle dentellate guglie rocciose.
Su questi acuti, come nei larghi accompagnamenti delle voci basse nei cori, si distende un velo di malinconia, espressione della solitudine. Risonanze ed echi sorgono naturali dalle alte pareti, dal fondo delle valli. E il respiro spaziato, le lunghe pause, quasi per accogliere nel canto lo stesso silenzio dei monti in cui vibra ancora l’armonia delle ultime note! In quei momenti sembra che i cantori tacciano per ascoltare. E poi le riprese impetuose, come raffiche di vento nelle foreste, presto calmate e modulate nello stormir delle fronde…” Sarà dunque la nostra sensibilità di gente alpina a far rivivere, o almeno sopravvivere, i canti della montagna: un’espressione antica, che sa essere moderna giacché tramanda nel tempo immortali emozioni.
LA MUSICA POPOLARE NEL MONDO MODERNO
L’immagine fin qui presentata vale per la musica popolare che è esistita per centinaia di anni e che continua a esistere in poche culture isolate. La maggior parte delle culture popolari, però, ha subito profondi cambiamenti nell’ultimo secolo: la stampa e i mass media hanno permesso l’accesso alla cultura urbana; gli esponenti inurbati delle comunità rurali hanno portato avanti le loro tradizioni in forma assai mutata. E anche la musica urbana ha risentito del contatto. In tal modo, molti fenomeni un tempo ai margini della musica popolare hanno assunto una grande importanza. Le minoranze etniche, ad esempio, vedono nelle loro tradizioni un mezzo per rafforzare l’identità di gruppo, funzione che prima non avevano; un altro esempio sono i canti politici e di protesta ricreati sullo stile della musica popolare.
Con questi spunti di riflessione vogliamo contribuire, per parte nostra, a lasciare una traccia scritta di un tratto caratteristico presente anche nella comunità di Albaredo, purtroppo scarsamente diffuso soprattutto tra le giovani generazioni. Tuttavia in occasione delle ricorrenze o di qualche serata all’osteria tra amici si cantano ancora le canzoni “di una volta” con il medesimo spirito e la stessa passione. E’ una sana passione che vorremmo restasse perché fa parte della nostra storia di abitanti di Albaredo, ovvero dei “barilocc”, che a nostro modo abbiamo saputo costruire il senso della comunità , della socialità e di quella che potrebbe essere definita civiltà delle genti di montagna.
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Di seguito abbiamo raccolto alcune canzoni accompagnate dalla musica facilmente orecchiabile. Anche con questo semplice gesto vogliamo riproporre e non trascurare le canzoni popolari del nostro paese.
CANTI POPOLARI DI MONTAGNA
Quel Mazzolin di Fiori
Quel mazzolin dei fiori,
che vien dalla montagna
e guarda ben che non si bagna
che lo voglio regalar.
Lo voglio regalare
perchè l’è un bel mazzetto,
lo voglio dare al mio moretto
questa sera quando vien.
Stasera quando viene,
sarà ‘na brutta cera,
e perchè sabato di sera
lui non è vegnù da me.
Non è vegnù da me,
l’è andà dalla Rosina;
perchè mi son poverina
mi fa pianger, sospirar.
Mi fa pianger e sospirare,
sul letto dei lamenti,
ma cosa mai dira la gente,
cosa mai diran di me.
Diran che son tradita,
tradita nell’amore,
e l’è perchè mi piange il cuore
e per sempre piangerà !
Amor dammi quel fazzolettino
Amor dammi quel fazzolettino
Amor dammi quel fazzolettino
Che alla fonte lo vado a lavar.
Te lo lavo con l’acqua e sapone
te lo lavo con l’acqua e sapone
per ogni battuta un sospiro d’amor.
Te lo stendo su un ramo i rose
te lo stendo su un ramo i rose
il vento d’amore Io viene asciugar.
Te lo stiro col ferro a vapore
te lo stiro col ferro a vapore
ogni pieghina è un bacino d’amor.
Te lo porto di sabato sera
te lo porto di sabato sera
di nascosto di mamma e papà .
C’è chi dice l’amor non è bello
c’è chi dice l’amor non è bello
certo quello l’amor non sa far.
Dove te vett o Mariettina
Dove te vett o Mariettina
Dove te vett o Mariettina
Dove te vett o Mariettina
‘nsci bun ora ‘n mezz’ al pra
‘nsci bun ora ‘n mezz’ al pra.
Mi me ne vado in campagnola
Mi me ne vado in campagnola
Mi me ne vado in campagnola
campagnola a laurà .
campagnola a laurà .
Se la rusada la s’è alza
Se la rusada la s’è alza
Se la rusada la s’è alza
la te bagnerà ’l scussà .
la te bagnerà ’l scussà .
El scussalin l’ho già bagnato
El scussalin l’ho già bagnato
El scussalin l’ho già bagnato
stamattina in mezz’ al pra
stamattina in mezz’ al prà .
Era una notte che pioveva
Era una notte che pioveva
e che tirava un forte vento
immaginatevi che grande tormento
per un alpino che stava a vegliar.
Immaginatevi che grande tormento
per un alpino che stava a vegliar.
A mezzanotte arriva il cambio
accompagnato dal capoposto:
«Oh, sentinella, ritorna al tuo posto
sotto la tenda a riposar!»
Quando fui stato ne la mia tenda
sentii un rumore giù per la valle
sentivo l’acqua giù per le spalle
sentivo i sassi a rotolar.
Mentre dormivo sotto la tenda
sognavo d’esser con la mia bella
e invece ero di sentinella
a fare la guardia allo stranier.
Il tuo fazzolettino
Dammi, o bella, il tuo fazzolettino,
dami, o bella, il tuo fazzolettino,
vado alla fonte, lo voglio lavar.
Te lo lavo con l’acqua e sapone,
te lo lavo con l’acqua e sapone,
ogni macchietta un bacino d’amor.
Telo stendo su un ramo di rose,
te lo stendo su un ramo di rose,
vento d’amore lo deve asciugar.
Te lo stiro col ferro a vapore,
te lo stiro col ferro a vapore,
ogni pieghina un bacino d’amor.
Telo porto di sabato sera,
te lo porto di sabato sera,
di nascosto di mamma e papà .
C’è chi dice: “L’amor non è bello”,
c’è chi dice: “L’amor non è bello”,
di certo quello l’amor non sa far.
La Montanara
La su per le montagne,
tra boschi e valli d’or,
fra l’aspre rupi echeggia
un cantico d’amor.
“La montanara, ohè”
si sente cantare,
“cantiam la montanara
e chi non la sa?”
Lassù, sui monti dai rivi d’argento,
c’è una capanna cosparsa di fior:
era la piccola, dolce dimora
di Soreghina, la figlia del sol.
Chi la svegliava,
era il sol che nasceva
e la baciava al suo tramontar.
O Angiolina, bell’Angiolina
O Angiolina, bell’Angiolina,
innamorato io son di te,
innamorato da l’altra sera
quando venni a ballar con te.
E la s’ha messo la veste rossa
e le scarpette come rose,
e le scarpette come rosette,
fatte apposta per ben ballar.
Va l’alpin
Va l’alpin su l’alte cime,
passa al volo lo sciator,
dorme sempre sulle cime,
sogna mamma e il casolar.
Fra le rocce e fra i burroni
sempre lesto è il suo cammin,
quando passa la montagna,
pensa sempre al suo destin.
Pensa alpin al tuo destino,
c’è il ghiacciaio da passar,
mentre vai col cuor tranquillo,
la valanga può cascar.
Pensa alpin la tua casetta,
che la rivedrai ancor,
c’è una bimba che ti aspetta,
orgogliosa del tuo amor.
Su cantiamo tutti insieme,
la canzone degli alpin,
la cantiamo con orgoglio,
siam del corpo degli alpin.
Pagina aggiornata il 27/06/2023