La “VÉGIA GÒSA”

Il mito

C’è un mito nelle Alpi che assegna ad una creatura improbabile uno statuto ambiguo, sospeso tra l’uomo e la bestia, che incarna la selvatichezza residua dell’uomo. Questa creatura che si è negata all’azione civilizzatrice è l’homo selvadego, un essere che fluttua ai margini del genere umano. Questo essere è l’abitatore di “uno spazio selvaggio” e in particolare dei boschi alpini.

A Sacco vi è una bella raffigurazione dell’homo selvadego e lo troviamo dipinto nella camera picta, con l’iscrizione mentre brandisce un randello nodoso : ” E sonto un homo selvadego per natura chi me offende ghe fo pagura”.

E’ verosimile che l’homo selvadego orobico avesse anche una donna che vagava nei boschi di queste vallate e, soprattutto ai margini dei maggenghi, “all’imbrunire della sera si sentiva il fiatone e ogni tanto si affacciava al prato pascolo” cosí raccontano i contadini che l’hanno vista. La donna dell’homo selvadego era la végia gòsa. Una figura ai limiti tra l’umano e l’animale, goffa, con il gozzo, coi capelli lunghi, alta quasi un metro e ottanta e piena di peli. La végia gòsa, ovvero la vecchia col gozzo, si vestiva con stracci simili alla Juta e stramaglie, nella brutta stagione imbottiva gli stracci di erba essicata. Queste figure sono sempre state dipinte con una certa cattiveria, invece erano personaggi di una grande spiritualità, di un profondo rispetto dell’ambiente in cui vivevano e di una straordinaria capacità di adattamento alle difficili condizioni. Sono figure un po’ simili agli indiani d’America o di altri popoli antichi come quello che nel tardo Neolitico ha conosciuto, in qualità di cacciatore, le nostre Alpi, che noi simpaticamente abbiamo chiamato homo orobicus.

In tutti noi, abitatori odierni di queste montagne e di questi luoghi suggestivi c’è un cuore selvatico, cioè lo spirito di coloro che amano la propria terra, la propria storia di civiltà . I popoli nordici hanno una cultura per il bosco che si è trasformata in leggende di folletti e di altre figure.

A noi piace ricordare tutto questo e siccome all’homo selvadego non era ancora stata assegnata una donna abbiamo pensato che la sua compagna di vita, anzi di bosco, fosse la nostra végia gòsa.

Ogni anno il 15 di agosto nel cuore della notte, esattamente a mezzanotte, nella Piazza principale di Albaredo la végia gòsa viene bruciata con uno splendido falò. Accompagnare la végia gòsa al falò celtico vuol dire coniugare, esplorando, un epoca remota della formazione della vita e della civiltà nelle nostre montagne.

Bruciare la végia gòsa non vuol significare tuttavia distacco o allontanamento di o da qualcosa, ma un po’ come faceva l’homo orobicus un gesto propiziatorio. Dal 1999 vi è uno stupendo dipinto murale nei pressi delle Scuole, sulla via che porta alle Case di Sopra, a raffigurare questo mitico personaggio delle nostre Alpi, che insieme all’ homo selvadego, costituisce una rappresentazione della storia fantastica delle credenze popolari alpine.

 

 

Pagina aggiornata il 27/06/2023