“UL BARILÒT” ovvero il dialetto di Albaredo

Un po' di storia

Conversazione a tre in dialetto barilot

 

Un po’ di storia sul significato e su cosa è il dialetto

Il termine dialetto in greco antico era diálektos e voleva dire semplicemente e genericamente modo di parlare. Nell’Europa moderna il termine dialetto viene usato per indicare, in genere, specie nei paesi di lingua francese e inglese, ciò che in Italia e in sedi specialistiche chiamano piuttosto varietà regionale: i dialectes francesi o i dialects anglosassoni sono il modo di parlare il francese o l’inglese in una certa regione. L’uso italiano del termine dialetto, secondo il più noto linguista ed esperto Tullio De Mauro, è ancora molto diverso. Noi intendiamo con questa parola una parlata di ambito locale, distinta dalla lingua comune, che è invece parlata comunque più che locale, utilizzabile ed utilizzata in tutte le regioni del paese. In generale, i dialetti italiani sono profondamente diversi dalla lingua comune. Pertanto possiamo dire che con dialetto si definisce un insieme di forme linguistiche che vengono praticate in zone geograficamente limitate, non è una derivazione dell’italiano, come molti ancora credono, ma una lingua di pari dignità all’italiano (cioè al toscano), che si è evoluta parallelamente a questo, direttamente dal latino. In Italia, dialetti e lingua si trovano sullo stesso piano, riflettono tradizioni e culture specifiche, possiedono un lessico e una grammatica. L’unica vera differenza sta nella diversa estensione: il dialetto è parlato in un’area di minor estensione rispetto alla lingua.

Un valore particolare al dialetto è stato attribuito solo in tempi relativamente recenti , dopo esserci preoccupati di riconoscere il valore dei beni monumentali e ambientali lo stesso è stato fatto con la nostra parlata rendendosi conto di come sia un prezioso bene culturale da tramandare. Si sta tentato di recuperare la parlata locale, la storia è il vissuto di un popolo e fanno parte di esso i costumi, le abitudini, le tradizioni e sopratutto il linguaggio che in una piccola comunità si identifica con l’uso del dialetto. Pur considerato in alcuni ambiti ancora come una forma scorretta dell’italiano, il dialetto rappresenta tuttavia un efficace mezzo di comunicazione in quanto si presta ad essere utilizzato non solo per motivi di ordine pratico ma anche come strumento per esprimere in modo colorito sentimenti, passioni, emozioni.

L’ Italia è uno dei paesi più ricchi di dialetti nel mondo, quindi non dimentichiamo che conoscere il dialetto, parlarlo abitualmente sia in casa che fuori, insegnare ai bambini a parlare in dialetto, è sinonimo di ricchezza culturale. www.dialettiitaliani.com nel suo piccolo si propone di catalogare i termini, i modi di dire, i proverbi e le poesie dialettali con la collaborazione dei suoi Visitatori, per tener traccia delle nostre lingue regionali. L’ Italiano è una lingua appartenente al gruppo delle lingue romanze della famiglia delle lingue indoeuropee. Esiste un gran numero di dialetti neo-romanzi. L’italiano moderno è, come tutte le lingue nazionali, un dialetto che è riuscito ad imporsi come lingua ufficiale di un territorio molto più ampio della sua regione di origine. In Italia grazie al suo prestigio culturale fu il dialetto fiorentino a prevalere. In effetti il dialetto toscano era la lingua nella quale si espressero Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Boccaccio, nonchè la lingua della stimata Firenze, da secoli conosciuta come punto di riferimento culturale.

Influenze linguistiche

Prima dell’avvento dell’Impero romano, è l’etrusco a essere parlato in Toscana e nel Lazio settentrionale (“Tuscia”). Se la lingua etrusca è stata cancellata nel corso di qualche secolo dall’avvento del latino, dopo la conquista romana, la sua influenza può esser rimasta nel sostrato del toscano, ma la questione è ampiamente dibattuta. Il latino volgare divenne ben presto la lingua parlata in Italia e in gran parte d’Europa. Data la durata e la qualità della dominazione romana sul Continente, è facile capire perché il latino sia la base di moltissime lingue europee. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476, la Toscana vide arrivare gli Ostrogoti e i Longobardi (secoli V e VI), popolazioni provenienti dal nord e dall’est dell’Europa. Esse influenzarono la lingua della regione solo nel lessico, le altre caratteristiche restarono più o meno immutate. Il toscano resta una delle parlate romanze più conservative e vicine al latino.

Influenze dialettali nella Valtellina

L’abate Pietro Monti, compilatore del “Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como”, così scrive nel 1845 a proposito delle parlate della Valtellina: “Il dialetto di Valtellina, copioso e importante sopra gli altri, è meno alterato, perché fin verso la fine del secolo passato, la valle, sotto la Signoria dei Grigioni, senza buone strade e scuole, retta da barbare leggi, non amica ai forestieri, visse quasi divisa dal mondo. Le favelle delle Valli di Malenco e Chiavenna, del contado di Bormio, del borgo di Poschiavo, dè grossi comuni di Teglio, d’Albosaggia, di Montagna, di Berbenno, di Morbegno e dè villaggi dè loro distretti; e della valle di Livigno, posta solitaria al di là della cresta delle Alpi, sono degne di speciale studio. Nel mercato di Sondrio, i Valtellini stessi poco intendono del parlare dè paesani d’Albosaggia e di Montagna; i Bormiesi poco di quel di Livigno, quando questi favellano da soli, valendosi di voci del dialetto della lingua romanza. Poschiavo, grossa terra dei Grigioni, per due terzi della diocesi comasca, parla in generale come a Tirano, ma usa molte voci proprie.

I Valtellini hanno voci pur usate nel Tirolo italiano, o in quel di Brescia e di Bergamo, popoli di cui toccano i confini”. Si può dire che Pietro Monti abbia visto giusto, nella sua “diagnosi” colorita ma efficace, circa la distribuzione delle varie “parlate” nell’ambito dell’odierna provincia di Sondrio. È pur vero comunque, come abbiamo avuto modo di riscontrare assistendo alla nascita e alla formazione dei dialetti, che il Valtellinese, al pari degli altri dialetti della Lombardia occidentale (varesotto, comasco, lodigiano, brianzolo, ecc.), proviene in gran parte dal ceppo milanese. La conferma, se mai occorresse, ci arriva da Francesco Cherubini, contemporaneo del Monti, che così scrive a proposito delle parlate dell’alta Lombardia: “Il Valtellino invece parmi non male ascritto allo stipite nostro per la molta affinità della sintassi, e perché oggimai non più numerabile fra i vernacoli valligiani italo-svizzeri; e ciò ad onta della molta varietà corrente fra noi milanesi e li Alti Valtellinesi, specialmente in fatto di vocaboli”.

Tornando però al Monti, appare evidente che la sua descrizione ci fornisce lo spunto più completo per capire fino in fondo per quale motivo in Valtellina “i dialetti” siano così differenti fra loro. Abbiamo infatti notevoli influenze milanesi e comasche, specie sulla sponda destra dell’Adda, mentre su quella opposta troviamo tracce abbondanti di bresciano e bergamasco. Questo particolare farebbe pensare che per lunghi anni le comunicazioni fra le due sponde siano state difficoltose o meglio ancora non ritenute indispensabili, cosicché le due popolazioni hanno finito per gravitare sempre più nelle rispettive sfere d’influenza dialettale, ciò che oggi non succede più. Bormio e Livigno possiedono un dialetto particolare che, caratteristica di maggior spicco, perde la “ü” francese tipica del ceppo milanese, presentando parole con la “u” normale. Ancora: a Bormio e a Livigno sono evidenti le influenze dei dialetti ladini e di quelli germanici della Svizzera.

Le valli di Poschiavo, Bregaglia e altre minori situate in territorio elvetico, risentono in misura più marcata dell’influsso ladino. Però le parlate di queste zone sono “lombarde” a tutti gli effetti; semmai si staccano da quelle della provincia di Sondrio proprio per l’uso di vocaboli tipici, sconosciuti altrove. Eccoci alla parte occidentale della provincia di Sondrio, vale a dire la zona stretta e lunga che corre dall’alto Lago di Como fino al Passo dello Spluga: la Valchiavenna. Qui la parlata è più comasca che valtellinese; le affinità dialettali tra le due zone sono tuttavia moltissime. Restano i gerghi. Più che dialetti veri e propri, i gerghi sono speciali linguaggi che uniscono un ben determinato gruppo di persone che possiede in comune un certo carattere distintivo (ad esempio il “mestiere” di calderaio, di spazzacamino, di venditore ambulante ecc.), o, al contrario, particolari tradizioni che debbono essere custodite dagli assalti del mondo esterno; uno dei mezzi per raggiungere lo scopo è dunque quello di usare uno speciale linguaggio noto solo a pochi e incomprensibile ai forestieri. Nella provincia di Sondrio sono molto noti i gerghi “calmùn” o “calma” di Lanzada e quello “patuà sciôbar” di Valfurva-Valdisotto. Sono in via di estinzione, purtroppo, essendo parlati solo dagli anziani.

L’origine degli abitanti e il dialetto dei barilocc ovvero ul barilòt

E’ sempre difficile stabilire, sulla base di documenti, l’identità dei popoli che per primi si insediarono nella nostra vallata alpina, nella Valle del Bitto di Albaredo. Vari autori sono propensi a indicare come la più credibile, un’antichissima colonizzazione da parte dei Liguri. Di origine ligure, sono i nomi locali con il prefisso Alba (così Albaredo), anche se il nome pare derivi dal latino “Albaretum” (inteso come luogo di alberi) oppure sempre dal latino “arbor, populus alba”, in altre parole albero, comunque il suffisso “etum” ci fa capire che in questo luogo c’erano molti alberi cedui. Il toponimo Albaredo, come altri contenenti la radice ald o alb, dal latino albus, è pure ricorrente per insediamenti posti su alture. Pure liguri sono di origine qualche nome comune: “sberlusc” (lampo), “matusc” (piccolo cacio magro). Altri autori accettano l’ipotesi di un insediamento valtellinese degli etruschi che, dopo la caduta dei galli (siamo nel IV secolo A.C.) forse furono numerosi, ma s’appagarono di possedere l’agevole fondo valle e la zona solatia, i Celati superstiti si rifugiarono, inselvatichendo, nelle convalli laterali più impervie : Valle del Bitto, del Tartano, ecc. Etruschi potrebbero infatti essere certi nomi dall’etimologia misteriosa come “puiàtt” (rogo acceso) e “nabir” (umore viscoso che esce dal naso).

Il nome Bitto invece risalirebbe al celtico “bitu” (perenne) e quindi la discesa dei Celti, appunto in Italia nel IV secolo A.C. I passi orobici furono interessati, intorno al 16 a.c., dal passaggio di truppe al comando di Publio Silio, incaricato di punire i Vennoneti che, collegati ai Camuni, avevano compiuto incursioni e saccheggi nella Gallia Romana dando non pochi problemi ai dominatori. Evidenti sono le tracce del dominio romano della zona a cominciare dal nome stesso di Albaredo; molte parole dialettali sarebbero inoltre di origine latina: “redà” (durare), “pecc” (poppa), “pivel” (giovinetto), “panétt” (fazzoletto), “bagiul” (arnese di legno per portare assieme due secchi), “menuzz” (latte e polenta), “quacc” (caglio) , “scespeda” (cespo), e infine “fopa” (avvallamento, località posta sotto il “Dosso Chierico”). Riferimenti latini si trovano in numerosi termini dialettali: di origine romana sarebbe infatti il gioco del cerchio rotolato con le mani, una usanza viva ancora nelle nostre valli; quella della “sampugnera”, per questo sul finire di febbraio giovani e ragazzi girano per i prati con i campanacci al collo e “chiamano l’erba”, festeggiando così la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera.

Ai Longobardi la tradizione dei “gabinatt”, la richiesta itinerante di doni in quella che oggi è la ricorrenza della Befana. Innumerevoli sarebbero inoltre i termini che possono far risalire a questo popolo, comparso nelle nostre vallate intorno alla metà del 500 d.C. “gudàzz” (padrino), “sluzz” (bagnato), “baloss” (furbo) ,”mascherpa” (ricotta) “gnecch” (di malumore), “lifroch” (di scarsa volontà), “butér” (burro), “loot” (tratto di bosco assegnato per sorteggio), “scagn” (appoggio per mungere), “scrana” (panca), “stachéta” ( chiodo di scarpa), “scoss” (grembo), “stracch” (stanco). “Ul barilòt” è quindi un dialetto tipico della zona orobica con influssi vari, compreso quello dell’Alta Valbrembana considerate le frequentazioni attraverso il Passo di San Marco. Tuttavia ancora poco chiara è la declinazione da Albaredo in “barilòt” al singolare maschile e “barilocc” al plurale per i suoi abitanti (barilota al femminile singolare e bariloti al plurale maschile). E’ pur vero che la pronuncia dialettale di Albaredo è “Albárii” e per conseguenza la trasmutazione in “barii”, “barilòt” e “barilòcc”. Ricorrendo ancora una volta all’Orsini tuttavia il nome dei residenti potrebbe risultare da un composto Al-baredo e non da una abbreviazione, nel quale al indica vicinanza e baredo può ricondursi alla voce prelatina bar ovvero roveto. A noi piace pensare che l’espressione barilòt e barilòcc sia indistinguibile ed originale e pertanto ne siamo orgogliosi della sua derivazione.

(a cura di Patrizio Del Nero).

Poesia in dialetto barilòt

LA GERLA DE LA LEGNA DI BARILÒT

(Mazzoni Gianfranco – gennaio 1995)

Sentire dalla voce dell’autore la lettura originale della poesia

 

Quii più tant giuèn cume mi
Pensi che i podi regurdas
Ma però cun la memoria
L’è de turnaa indree tri pass.

Quant che alura i nos mam,
per cumprà en riòot de pan
i vigniva giù a vent la legna
en la piazza Tre Funtàn.

Lur iè andava giù a bunura
Quanti che l’era amò tut scuur
E i tuliva dree una lum de tiùn
Par vedè endu che l’era i mur.

Ul pusèe brut l’era d’invernu
Tanti volti l’era fiucàa
Lùur però, despuus la porta
I maniva i zocùi feràa.

Cun la nìif tacada ai zocui
El se fava su el baluc
E a vedeli a caminà
I pariva propi en ciuch.

Quant la nif l’era en poo sucia
I mitiva su i bendun
E iendava cun la gerla
Sensa fa gnaa culaziun.

Certu l’è che cun la nìif
I caminava propi maal
Cun su en del spai ‘na gerla
Poch de men de mèz quintaal.

En pèer de volti a la semmana
Nurmalment l’era l’impegn
De purtà giù en brasch de legna
Ai so amisi de Morbègn.

Legna forta de foo, de rùul
se scirniva fo i toch bei gros
cun su sura quasi sempri
‘na fasina de maròs. La vigiglia de Natal
i ne tuliva tre fasin
chi n’ul sa? El riva ul Bambin
Ia de fa vansà vargut

Ina vòlta lungu l’ann
el gièè andava giù al mercaa
Perch’ el giva su ul scusaal
Che l’era propri malandaa.

I tuliva en toch de tila
per pudèe fas su ul scusaal
Ma de legna ghen vuliva
Perlumeno quasi ‘n quintàal.

Quai òff ed po de legna
se pudiva miga ciapà guari
I serviva sempri en poo
Par pudè sbarca ul lunari.

Oh vulùu fa chi ‘sta storia
par dich “grazie” ai nosi mam
Che i’a duvuu fa tanti viti
En qui temp daveru gramm.

Pudivei miga pusàa en poo
i’à duvuu laurà en scì tant
Par pudè unestament
Pian pianin fan vignì grant.

Ma purtropp adess m’encorgi
de trop tardi avecc pensàa
Perchè adess de quili femen
Pochi pochi el ne restaa.

Quili femèn che i’è andava a vent la legna
par pudè cumpràs ul pan
A cùntali ben dùu voolt
El giè sta su en de ‘na man.

Soo sta propi en grant ‘gnuraant
de ‘nscì tardi avec pensaa
E me dumandi : “Adess cume fèm?”
El ne resta perlumeno
De dich su quai rèquièm.

Un sito web da consultare http://www.dialettiitaliani.com
Un libro interessante da leggere per chi intende approfondire l’argomento: “LINGUA E DIALETTI” di Tullio De Mauro e Mario Loi, Ed. Riuniti 1979.

E per finire ….. riscoprire e parlare il dialetto del proprio paese è tutelare e valorizzare la propria cultura, ricca di diversità e tradizioni, risultato di una straordinaria civiltà millenaria di uomini, donne che insieme costituivano la comunità.

Pagina aggiornata il 27/06/2023